Dalla nostra inviata Giovanna Barreca
La sintesi di due mondi contrapposti nell’India in via di sviluppo economico e sociale: da una parte il potere che ha forti connivenze con i malavitosi e che non vuole cambiare un certo ordine di cose. Dall’altra donne che si uniscono per combattere quella corruzione, per far in modo che finalmente i loro diritti siano riconosciuti. Allo stesso tempo ci sono anche due sistemi di valori agli antipodi e donne che non accettano una condizione di vita tale da millenni. Enrico Bisi, al suo terzo documentario dopo l’esordio con il cortometraggio, con semplicità viene a patti con la realtà e focalizza l’attenzione su un gruppo di donne che fomentano un cambiamento necessario. Nella regione dell’Uttar Pradesh la leader è Sampat Pal che con un sai rosa e un bastone dello stesso colore cerca di far capire alle altre donne che la sottomissine non è la condizione naturale dell’uomo e che – come recita una didascalia iniziale – non è accettabile che ogni 34 minuti in India avvenga uno stupro. Il regista ricorre ad inquadrature che spesso mettono in evidenza il conflitto fra la cultura imperante e la natura umana. Indugia in una visione pura delle cose senza cadere in un facile voyeurismo soprattutto quando mostra i corpi delle donne vittime di violenza. Inutili i primi piani e i dettagli dei particolari delle percosse ma quei corpi vanno mostrati perché sono il motore della rivolta interna delle donne. Lo sdegno davanti a quei corpi si impone come un vero e proprio monito allo spettatore e chiave di lettura dell’intera opera.
Dall’India al Kazakistan di Fabio Migli che ci porta nella “terra della steppa dove lo sguardo si perde” afferma ad apertura del documentario, del quale è la voce narrante. Perché Incontri sulla via per l’ex mar d’Aral è un diario di viaggio. Il racconto da viaggiatore disabile appassionato dell’Asia che con un vecchia e mitica panda trasformata in casa viaggiante con tanto di doccia, percorre distese infinite incontrando uomini e donne che diventano i protagonisti del suo errare e del suo vivere: “Asia, Cina, Siberia, Afghanistam verso l’infinito oriente perché sono affascinato dagli spazi”. La sua condizione e i mezzi tecnici utilizzati: una telecamera posizionata sul cruscotto dell’auto che permette di inquadrare lui al volante e le persone che al veicolo si avvicinano ha permesso a questo documentario di avere una visione d’insieme e un ritmo diversi perché ha imposto prima di tutti agli interlocutori un’inquadratura obbligata, un tempo per giungere all’auto e interagire con Fabio. Senza frenesia e con passione si sono donati al racconto della loro condizione e di quella del territorio che abitano. Si va dall’uomo che sotto il sole aspetta per vendere i pomodori, all’uomo che vende benzina in bottiglia, all’anziano che con cartina alla mano fa una vera e propria lezione di storia. L’unico che si sottrae è la figura più forte del documentario che Migli alla sua opera prima anche come montatore delle sue immagini, inserisce nel preambolo iniziale e poi a chiusura quando il suo viaggio porta la sua panda a viaggiare su un ex mare. Un anziano che passa le giornate a guardare dei vecchi pescherecci che fino a pochi decenni fa solcavano un mare tra i più pescosi delle regione e che le logiche sovietiche hanno ridotto sempre di più, distruggendo tutta l’economia della regione. Al mare sono state tolte le acque dei due principali fiumi emissari (per coltivare campi di cotone) e così oggi quella distesa blu di acqua e di vita non esiste più. Si chiude con lo sguardo malinconico di un uomo sconfitto dall’inedia un racconto carico di voglia di conoscere l’altro e di confrontarsi con una cultura lontana.