Dalla nostra inviata Giovanna Barreca
Ascolta i file audio sul film:
Quando due anni fa per Il grande sogno, film di Michele Placido , Jasmine Trinca ottenne il premio Mastroianni, dichiarò in conferenza stampa di non aver tra le mani nessun copione (lo stesso fece Isabella Ferrari). Un po’ perché in Italia era, ed è, un periodo difficile produttivamente parlando visti i tagli ministeriali, e poi perché – come ribadisce anche stamane alla presentazione di Apollonide – souvenirs de la maison close di Bertrand Bonello – “In Italia per le donne ci sono solo ruoli marginali, di donna del focolare”. O mamma o figlia insomma, dal binomio non si esce. Quindi, dopo che anche il pubblico francese ha iniziato ad amarla per La stanza del figlio – che ha dato inizio alla sua carriera come attrice – eccola sbarcare come tante altre colleghe oltralpe per interpretare ruoli “più interessanti che permettano di mettersi in gioco”. Il regista francese Bonello l’ha scelta per recitare insieme a Hafsia Herzi (salita alla ribalta con Cous Cous di Adbel Kechiche), Noèmie Lvovsky, Louis-Do de Lencquesaing e Adel Haenel), una delle ragazze che abitano e lavorano nel bordello Apollonide di Parigi. “Anche se non c’è nulla di esasperato o morboso in quello che viene raccontato nel film – aggiunge l’attrice italiana – sicuramente ci troviamo davanti ad un’opera non convenzionale”. In effetti non esiste un discorso lineare nella narrazione, almeno in senso classico, perché tutto il film è strutturato come “una danza circolare a suon di jazz”.
Film in costume che utilizza sonorità degli anni 60 che, per l’autore, erano le uniche in grado di esaltare davvero lo spirito dell’epoca e soprattutto il modo che hanno queste ragazze di vivere i rapporti personali nella comunità creata e con i clienti, più o meno affezionati, che frequentano la casa. Nel bordello iniziano anche un viaggio di consapevolezza e di crescita. Non a caso, quando proprio il personaggio interpretato da Jasmine Trinca muore di sifilide, anche la ragazza che era entrata per ‘essere libera’ (e guadagnare soldi, questo afferma nella sorta di colloquio di lavoro) intona un canto tradizionale degli schiavi africani deportati nei campi di cotone degli Stati Uniti. Altro salto è dato dal finale: siamo ai giorni d’oggi, in una strada di lucciole parigine. Tra loro una delle nostre protagoniste, forse l’unica con un volto tale da poter incarnare il salto temporale nella maniera più appropriata per trasportare lo spettatore ai giorni d’oggi. Un film fatto di tableux vivants perché viene privilegiata la ripresa a camera fissa e un ritmo attento. Le donne vengono trasformate in immagini: quelle che porteranno la maschera e la donna sfregiata in volto per assumere le sembianze di un clown col sorriso triste (non a caso i camei dei clienti sono stati lasciati ai registi famosi come Xavier Beauvois, Noémie Lvosky, Jacques Nolot). Vediamo per tutti i 125 minuti della pellicola tele (molti gli omaggi e le ricreazioni animate di pittori impressionisti) che riescono a tessere una trama composta da tanti diversi quadri studiati per coinvolgere lo spettatore.
Una sospensione di sguardo per Bonello, – autore molto prolifico presente in concorso già con Tiresia nel 2003 e con altre opere in sezioni collaterali anche negli anni a seguire – che per il progetto ha preso spunto da “Le vie quotidienne dans les maisons closet 1830-1930” della storica e giornalista francese Laure Adler. Nota a margine: ad ispirare il fiso da clown per la deformazione il quadro L’homme qui rit di Paul Leni (1928) che terrorizzò da bambino il regista.