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Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva
Piccolo mondo antico (1941) di Mario Soldati: fuga estetica dal canone del cinema fascista, secondo chiavi espressive nuove e raramente ripercorse. Avvincente e ben girato
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
22/03/11 – Figura controversa, Mario Soldati, nel panorama culturale italiano. Ritenuto buono o grande scrittore, ma autore cinematografico discontinuo, ha sempre ritenuto il cinema, per sua stessa ammissione, una forma d’arte che non sempre è arte, perché inevitabilmente piegata anche a una dimensione industriale e di mercato. Autore letterariamente piuttosto compatto, è invece autore di cinema variegato e di difficile identità autoriale, probabilmente in virtù della sua serena accettazione di tale compromesso insito nel cinema tra ragioni artistiche ed economiche. La sua filmografia è piuttosto corposa, tra gli anni ’30 e ’50, ma si conclude definitivamente all’inizio dei Sessanta, ancora piuttosto giovane. Figura di intellettuale totalmente poliedrico, si dedicherà successivamente a scrittura e televisione, abbandonando per sempre il set. Delle sue opere cinematografiche, la più nota resta probabilmente Piccolo mondo antico(1941), riduzione per lo schermo del famoso romanzo di Antonio Fogazzaro, che all’epoca riscosse grande successo di pubblico e di critica. Progetto nato in piena epoca fascista, alle porte dell’entrata in guerra italiana, in realtà il film di Soldati presenta novità tecniche ragguardevoli rispetto al canone imposto al cinema dal regime. Certo, è facile intuire che il soggetto passò inosservato, e forse addirittura sostenuto, agli occhi del regime in quanto fondato su un romanzo risorgimentale, che rievocava e glorificava l’opera di unificazione nazionale prima del fatidico 1860. Dove c’era nazionalismo, in qualsiasi forma e linguaggio, il regime era disposto a chiudere occhi e orecchie. Così, tramite tale occasione narrativa, passò sotto silenzio una piccola grande rivoluzione estetica, capace di mettere da parte strettoie espressive e anodini schemi narrativi che per lo più dominavano il cinema dei “telefoni bianchi”.
Certo, Piccolo mondo antico mostra tratti calligrafici, di “bella scrittura cinematografica”, che farebbero gridare allo scandalo qualsiasi autore di matrice neorealistica. Ma è pur vero che si avvertono maggiori aperture verso un cinema nuovo nel film di Soldati che in altri casi più rinomati (poche settimane fa si parlava di Campo de’ Fiori di Mario Bonnard, innovativo nient’altro che nel soggetto, e per converso esteticamente piegato alle logiche del cinema di regime). Innanzitutto, Soldati utilizza in modo estremamente espressivo le riprese in esterni, per lo più rifiutate dal canone del tempo, così come la struttura narrativa appare modellata su ritmi e catene di racconto derivanti dal cinema americano coevo. Basti vedere l’uso espressivo, e reiterato, del montaggio alternato, benissimo orchestrato nella sequenza-chiave dell’annegamento della piccola Ombretta, e così alieno alla logica del linguaggio “trasparente” che schiacciava ogni altra forma narrativa nel cinema di regime. Così come è rilevabile il ricorso frequente al linguaggio per immagini, indipendente dall’uso invadente del dialogo, anche nel rapporto amoroso tra Franco e Luisa, narrato per ellissi inconsuete. In più, Soldati nutre un gusto notevole per l’inquadratura, assumendo punti di vista insoliti, tagli obliqui e profondità di campo di radice pittorica, mentre orchestra montaggi arditi tra interni ed esterni. Cinema che non annuncia il neorealismo, ma che si mostra alla ricerca di fughe estetiche rispetto al canone, secondo chiavi saldamente narrative, basate su suspense e intreccio, letteralmente sparite nel nostro cinema successivo agli anni ’40.
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