Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni
Jean Renoir ha lavorato più o meno a tutte le latitudini del pianeta, e intorno al 1941 fece una sosta creativa anche nell’Italia fascista. Fu chiamato infatti dalla Scalera Film per dirigere un adattamento di Tosca, che si rifacesse più direttamente alla fonte teatrale di Victorien Sardou a scapito della versione operistica di Giacomo Puccini. Proprio nel volgere di quegli anni la Scalera Film si presentava come una casa di produzione nostrana con ambizioni di studio hollywoodiano, improntato a un’attività industriale di coinvolgimento internazionale. Per diversi anni fu la casa di produzione italiana più prolifica, e più volte puntò alla realizzazione di film pensati in grande, chiamando spesso autori stranieri a dar lustro ai loro film e assemblando cast di attori plurilingue, con la partecipazione di stelle internazionali del cinema. I rapporti più frequenti si ebbero con la Francia, e in tal senso sarebbe interessante studiare secondo quali dinamiche si crearono i presupposti per l’arrivo di Renoir in Italia, in un momento storico che vedeva la Francia occupata e spartita dai nazisti e Mussolini, stretto alleato di Hitler. Ma comunque sia andata, Jean Renoir si trovò a Roma a lavorare a Tosca con un buon budget e alcuni dei suoi più fedeli collaboratori. Come assistenti alla regia scelse infatti Carl Koch e sua moglie Lotte Reiniger, pionieri del cinema d’animazione in silhouette, e Luchino Visconti, che di lì a poco porterà la lezione di Jean Renoir nel proprio cinema. Per il precipitare della situazione bellica Renoir abbandonerà presto l’Italia e lascerà il film incompiuto, affidando le proprie indicazioni di regia a Carl Koch, che ne porterà a termine la realizzazione.
Poco reperibile e visibile da anni, adesso Tosca è stato meritoriamente recuperato in dvd per CristaldiFilm dal 4 dicembre scorso, e se ne possono riconoscere i meriti di regia, che tuttavia restano d’incertissima attribuzione. Innanzitutto, risulta ben evidente quella sorta di studio style della Scalera Film. Mettendo insieme un cast eterogeneo in cui campeggia il leggendario Michel Simon al fianco di Rossano Brazzi e della diva d’epoca Imperio Argentina, Tosca rispetta l’internazionalità a cui la Scalera mirava, coniugando il divo di casa nostra all’appeal di una vedette sudamericana, alla classe di un grandissimo interprete del cinema francese. In secondo luogo, è saggia scelta l’aver evitato il film-opera, generaccio che si stava imponendo nel nostro cinema in realizzazioni scadenti, dove il doppiaggio del cantato era spesso maldestro, le ricostruzioni d’epoca farlocche, la produzione tirata al risparmio. Così facendo, invece, Tosca evita di veder costretti attori a cantare, o, peggio, cantanti a recitare, e si confinano le arie di Puccini a poche sequenze di transizione in cui la musica accompagna scorci romani o di Castel Sant’Angelo. Gli altri rari interventi canori di Imperio Argentina, inseriti per sfruttarne le sue doti vocali, sono comunque giustificati dalla narrazione e coerentemente incastonati nel racconto. Un’operazione di chirurgica “credibilità melodrammatica” che visibilmente è farina del sacco di Jean Renoir. Ed è in tal senso che sorgono però le maggiori difficoltà di lettura. Se non si vuole ridurre il ruolo di Carl Koch a quello di mero esecutore, a chi appartiene il film? L’opera di Koch è troppo scarna per poter fare dei confronti, e se il film trasuda lo spirito di Renoir da ogni fotogramma, è pur vero che dopo la fase di progettazione il suo concreto intervento sul set fu quasi inesistente. E dunque, chi è il padre? Spunti per appassionanti studi filologici futuri. Resta comunque il dato di un cinema di epoca fascista, ma non cinema di regime, che puntava alla qualità e allo sconfinamento internazionale.