Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni
Qualche settimana fa si parlava della “rifondazione sottovoce” italiana anni ’80, ovvero di quel gruppo di film che, intorno alla metà del decennio, sembrò dare nuova luce e nuove speranze a un cinema sempre più ostaggio commerciale del comico e malincomico. E in questa direzione si sottolineava l’estrema importanza della nascita della Sacher Film di Nanni Moretti e Angelo Barbagallo, che finanziò diverse opere prime lontane dalle convenzioni e dalle chiavi di successo del nostro cinema di quegli anni. A quel gruppo di film appartiene anche l’esordio di Daniele Luchetti, Domani accadrà, recuperato di recente da Fandango per la sua prima uscita in dvd. All’epoca l’opera fu salutata con notevole simpatia da critica e, in forme “relative”, dal pubblico. Opera intelligente, molto curata, davvero inconsueta per i goffi canoni a cui si era ridotta la produzione nazionale. Opera che passò con un certo favore nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes del 1988, e che, se messa in relazione con l’attuale cinema di Luchetti, mostra un autore sensibilmente diverso. Ma Domani accadrà non è il solo; il gusto per il surreale, molto distante dal nervoso realismo di film recentemente acclamati come Mio fratello è figlio unico (2007) o La nostra vita (2010), caratterizza in realtà diverse opere degli esordi di Luchetti. Anzi, appare un po’ una costante che ritorna negli anni in opere diseguali, a testimoniare una tendenza a cui l’autore romano resta comunque affezionato.
Domani accadrà si profila come un racconto filosofico, che indaga, con umiltà e coraggio al contempo, culture e sentimenti nello scorcio storico appena precedente ai primi moti risorgimentali. L’occasione narrativa abbina una superficie storica a una sostanza universale: l’ontologica lotta tra natura e cultura, tra istinto e ragione. In particolare, la lacerazione tra un universo di profonda fede positivistica, un altro di rigide codificazioni sociali (la morente aristocrazia classista) e un altro ancora, qui simboleggiato nei due butteri protagonisti, che vive di pancia, in senso figurato e in senso stretto. Non si propongono risposte, e su tutto domina un brioso gusto per il divertissement, che abbina fantasiose invenzioni sceniche e narrative (tutto il buffo universo di Armonia, una sorta di comunità fondata sul libero istinto e la fede più rocciosa nella scienza) a personaggi e situazioni bizzarre. Nessuna risposta, dunque, anche se è evidente l’adesione emotiva a quei due protagonisti, Paolo Hendel e Giovanni Guidelli, che vivono al di sotto e al di sopra di qualsiasi schema culturale. Vivi perché desiderosi di vivere, di mangiare, di fare l’amore: lo stato di natura come condizione umana di primigenio epicureismo. Il film è attraversato da buona parte del futuro cinema italiano: una giovanissima Margherita Buy, un buffo ruolo per Angela Finocchiaro, volti di caratteristi che in pochi anni diventeranno consueti (Claudio Bigagli, Antonio Petrocelli, Dario Cantarelli) e pure un cameo di Nanni Moretti nei panni di un carbonaio dal linguaggio incomprensibile. Ma non è da dimenticare una delle ultime partecipazioni al cinema di Ciccio Ingrassia, qui bandito d’altri tempi, spietato e nobile, oscuro e malinconico. Un’opera prima incredibilmente compatta e matura, che in qualche modo resta isolata, poiché non rispecchia più di tanto nemmeno quel cinema delle carinerie “camera-e-cucina” che dominerà la nostra produzione agli inizi degli anni ’90.