Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni
Il conformista (1970) è rinato in dvd, finalmente. Grazie all’apporto della sempre ottima casa di distribuzione Minerva/Rarovideo, da qualche settimana è ricomparso in commercio uno dei film universalmente più amati di Bernardo Bertolucci, realizzato a soli 29 anni e già in grado di conferirgli notorietà in tutto il mondo, compresa una nomination agli Oscar per la migliore sceneggiatura. Film che quantomeno nei nostri pallidi orizzonti nazionali era sparito da decenni, al centro di una lunga diatriba sui diritti di distribuzione, e che dopo il suo restauro nel 1993 da parte della Cineteca Nazionale aveva vissuto la breve speranza, subito disattesa, di esser rimesso in circolazione. Adesso finalmente ci siamo. Il film è di nuovo disponibile, in un prezioso cofanetto che comprende una lunga intervista all’autore a cura di Adriano Aprà e un ricco opuscolo di documentazione storico-critica.
A detta di molti, l’apprezzamento ecumenico che il film raccolse alla sua uscita è dovuto in parte alla nuova aderenza di Bertolucci a un cinema di largo respiro, “hollywoodiano”, in fuga dai canoni nazionali più vulgati sull’onda di ambizioni diverse e internazionali. In realtà Il conformista si profila come uno dei veri capolavori della nostra cinematografia, ma per ragioni diametralmente opposte. Di narrazione hollywoodiana, condotta secondo i dettami della “chiarezza narrativa”, della trasparenza registica, non v’è traccia. Si rileva piuttosto un gran lavoro autoriale sull’immagine e sul racconto, in cerca di forme nuove e personali applicate su materiale narrativo preesistente (il noto romanzo di Alberto Moravia) che, sì, avrebbe potuto presupporre una realizzazione rassicurante e convenzionale. Innanzitutto, la struttura del racconto: una frantumazione totale delle linee narrative, tra presente e passato, tra realtà e sogno, tra visione intrapsichica ed extrapsichica. Sostenuto dal contributo creativo del leggendario montatore-sceneggiatore Franco “Kim” Arcalli, Bertolucci filtra tutto il racconto attraverso lo sguardo del suo protagonista, un Marcello Clerici qualunque che negli anni del fascismo aspira nevroticamente alla normalità, all’assunzione totale del modello esistenziale propugnato dal regime. Tutto questo, si badi bene, a fronte di un altrettanto totale disprezzo per lo stesso regime. Un masochista, si direbbe, ovvero un tragico carnefice di se stesso. Un caso clinico che si erge a lettura personale delle profonde radici di una tragedia nazionale, il ventennio fascista, compiuta da un inconscio collettivo. Sul piano visivo, Bertolucci ricrea la propria era fascista avvalendosi totalmente di testimonianze indirette. Il conformista rievoca quegli anni, con gusto spesso beffardo e cinicamente grottesco, tramite strumenti espressivi pertinenti al cinema di allora. Con l’aggiunta personale di una macchina da presa che spesso pare figlia diretta della Nouvelle Vague, sempre provocatoria, sempre a-grammaticale, scardinante, anticonvenzionale. Basti pensare ai “carrelli contrari”, che spesso non seguono il movimento del personaggio bensì procedono in direzione opposta. E, non ultima, la scelta degli attori fu quanto mai azzeccata. Alle due ispirate Dominique Sanda e Stefania Sandrelli si affianca la probabile prova migliore al cinema di Jean-Louis Trintignant, alle prese con uno di quei personaggi-sfida che mandano in visibilio gli attori coraggiosi. Un film senza età, che ignora brillantemente le minacce del tempo.
Il climax del film. L’uccisione del professor Quadri e di Anna. Un pezzo da antologia: