Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni
Il rito della sepoltura come atto di provocazione politica. La ribellione agli oppressivi poteri costituiti, qualsiasi essi siano, da Stato a Chiesa, a famiglia, a istituti carcerari e manicomiali. La società come macrosistema oppressivo che tutto inghiotte, che in qualche modo genera e annienta, e quindi domina, i propri stessi anticorpi. Di questo raccontava Liliana Cavani, ispirandosi all’ “Antigone” di Sofocle, in I cannibali, sua lontana opera di rara reperibilità, che oggi ritorna disponibile in dvd in versione restaurata grazie all’opera ammirevole della casa di distribuzione Minerva/Rarovideo, e che per l’occasione è stata ripresentata al recente Festival Internazionale del Film di Roma. Un’opera interessante, così manifestamente legata al suo tempo da proporsi come testimonianza storico-culturale, esteticamente molto datata ma per questa stessa ragione reperto di un’epoca di cui porta addosso segni e sfregi. Certo, visto oggi I cannibali può provocare sconcerto e pure qualche sorriso d’affetto. Non tanto perché i suoi argomenti siano superati (al contrario, la libertà d’espressione rischia l’agonia anche nei nostri anni per altre vie e forme molto più mascherate), quanto per l’evidente debito verso un’estetica e una retorica espressiva che probabilmente si fa molti meno scrupoli rispetto ai nostri anni di politically correct. I cannibali è opera di dichiarata allegoria socio-politica, frutto creativo in presa diretta degli anni della contestazione, di cui sposa con amore incondizionato sentimenti e disperazioni, ponendosi all’inseguimento di quei giovani “rivoluzionari” solo perché veri e spontanei, in cerca di vie quanto più aderenti al loro sentire.
Ma è anche opera di audacia estetica, in primo luogo perché collocata in un territorio espressivo raramente percorso dal nostro cinema: l’allegoria fuori dalla contingenza, che si concentra in un ipotetico tempo/non-tempo. Passato, presente, futuro, o magari l’eterno presente di una tragedia ontologica, vecchia quanto la storia dell’umanità? Questa, in fondo, sembra la finalità più dichiarata nel rievocare l’ “Antigone” di Sofocle, che d’altra parte non risulta né realmente messa in scena né riletta, ma soltanto evocata come archetipo testimoniale di una tragedia immortale. Il Potere, sotto le sue cangianti forme, schiaccia l’individuo dagli albori della vita sociale, nell’antica Grecia come nel ’68 come nella società moderna in senso lato. Certo, nella sua opera la Cavani accumula tutte le incarnazioni possibili di quel potere costituito, finendo per elencare una sorta di prevedibile bigino. In sostanza, in I cannibali possiamo trovarci tutto ciò che ci aspettiamo da un film di quegli anni: anarchismo e ribellismo giovanile, insofferenza verso le figure paterne, avversione per i poteri forti, denuncia degli istituti repressivi (carcere e manicomio) e sberleffi alla Chiesa. E in tal senso il film risulta assai meno convincente di certe riflessioni più radicali come alcune opere più o meno coeve di Marco Bellocchio (I pugni in tasca, Nel nome del padre). Ma resta comunque la traccia di un cinema forte, politico senza occultamenti. Militante, sì, con il grande pregio di non spacciarsi per altro. Dove ritroviamo, tra l’altro, volti emblematici di quella stagione italiana come Pierre Clémenti e Tomas Milian in versione pre-Monnezza. Figure che hanno legato intimamente se stessi agli umori di un cinema italiano che aveva fatto della militanza la sua ragion d’essere.