Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni
Passato in tv a nastro continuo per diversi anni, soprattutto nei pomeriggi, e scomparso poi lentamente dai palinsesti, Crimen di Mario Camerini contende in realtà a I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli lo status di caposaldo primigenio della commedia all’italiana anni Sessanta. E’ meno conosciuto del suo rivale, meno celebrato, talvolta liquidato come opera derivativa di quel grande successo. Viene appena due anni dopo l’exploit del film di Monicelli, ed è concepito più o meno sulle stesse coordinate: mettere insieme un nutrito gruppo di star dell’epoca e legarle tutte insieme in una vicenda da giallo parodico. In entrambi i film il modello da dissacrare è il giallo-noir francese, noto anche come “polar”. In Crimen (edito in Dvd Filmauro) l’elemento parodico è apportato dal gettare nel contesto elegante di Montecarlo, tra casinò, febbre del gioco e grand hotel, tre coppie di cialtroni italiani, di diversa estrazione sociale, ma tutti accomunati dall’incapacità di “stare al mondo”, dalla pavidità e dallo scarsissimo senso civico, soprattutto di fronte alle forze dell’ordine.
L’occasione è buona per mettere in evidenza, per contrasto, tutti i peggiori difetti dell’italiano in trasferta, giocando assai bene sui maggiori luoghi comuni in proposito. Ma, soprattutto, Crimen è un film di eccellente scrittura, che calibra benissimo personaggi, situazioni e dialoghi sugli attori a disposizione. Alla penna grandi firme dell’epoca: Rodolfo Sonego, Giorgio Arlorio, Luciano Vincenzoni e Stefano Strucchi. E davanti alla macchina da presa Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, accompagnati da cotante signore come Silvana Mangano, Franca Valeri e Dorian Gray. La maestria degli sceneggiatori risiede nel dissimulare perfettamente la costruzione “a tavolino” imposta dalla produzione. E’ vero che gli attori e i loro personaggi sono gestiti col bilancino, riservando a ciascuna coppia una sorta di episodio a parte, tanto per non scontentare nessuno di loro. Ma è anche vero che tale episodicità è mascherata con talento in una narrazione fluida, che non perde mai di vista un solido percorso unitario. Certo, si tratta di un film che, a conti fatti, si regge su grandi assoli recitativi, tra i quali spiccano nettamente Alberto Sordi e una sorprendente Silvana Mangano, in una delle sue prime occasioni di confronto con la commedia. Tuttavia la struttura narrativa non perde un colpo e inanella un fuoco di fila di battute e situazioni comiche mai condotte nell’eccesso grottesco, bensì con spirito sottile e meno “italiano” di quel che sembri. Valga per tutte la passeggiata tra i tetti con protagonisti il crudele commissario Bernard Blier e un terrorizzato Alberto Sordi, qui in una delle sue incarnazioni più survoltate di italiano vile e ipocrita. Camerini è un autore che viene dal cinema di regime, dai “telefoni bianchi”, e Crimen si colloca tra le ultime sue opere. Eppure, qui la sua impronta più personale è ravvisabile proprio in quel gusto anni Trenta per il divertissement, per la commedia pura, disimpegnata, che giustifica se stessa solo tramite i suoi meri meccanismi. Una scrittura cinematografica elegante, un evidente piacere per il gioco in quanto tale. Crimen, sì, è cinema vecchio. Era già vecchio alla sua uscita, visto che rischiava pochissimo sotto il profilo stilistico e puntava solo all’esaltazione di un’eccellente macchina produttiva. Ma è anche il più puro distillato di un metodo.
A volte una sigaretta può essere fatale: