Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni
Da molti riconosciuto come il prototipo per le “vacanze di Natale” vanziniane di trent’anni dopo, Vacanze d’inverno di Camillo Mastrocinque è innanzitutto un prodotto-summa del cinema commerciale della sua epoca. Per varie ragioni. Alcune evidenti e superficiali, come il ricorso a un assemblaggio corale del cast, in cui si assommano volti comici o sentimentali del tempo per andare incontro alle esigenze di un pubblico quanto più variegato possibile. Così ad Alberto Sordi si affianca Renato Salvatori, appena reduce dai fasti della saga “Poveri ma belli” di Dino Risi; Vittorio De Sica, attore per tutte le stagioni, dall’epoca dei “telefoni bianchi” agli anni ’60; bellezze del tempo con annesso discreto talento attoriale, come Eleonora Rossi Drago e Dorian Gray; qualche star straniera, che fa sempre lustro, come Michèle Morgan. Non si tratta di un’idea del tutto nuova per il nostro cinema, ma forse per la prima volta in Italia si assiste all’allestimento di un film che giustifica se stesso solo attraverso la ricchezza del proprio cast. La nascita italiana dell’ “all star-film”, in cui la produzione si fa forte solo e soltanto dei nomi che riesce ad accumulare nel parco-attori. E infatti i singoli episodi, sia pure ben intrecciati in una vera, unica narrazione, sono poco più che canovacci, esilissime storielle in chiave mondana ambientate nell’alta borghesia riunita a Cortina d’Ampezzo per il Capodanno.
Prima di Vacanze d’inverno, reperibile in dvd Filmauro (sarà un caso?), il cinema italiano era già stato invaso da numerosi film il cui concept era molto simile (Vacanze a Ischia di Mario Camerini, 1957; Costa Azzurra di Vittorio Sala, 1959…). Tuttavia in essi era rintracciabile una certa cura nella sceneggiatura che permetteva ai film di mantenersi divertenti. Al contrario, l’intrinseca debolezza di scrittura di Vacanze d’inverno si tramuta nella paradossale e più pertinente testimonianza della sua costruzione nient’altro che sugli attori. Ovvero, ci troviamo di fronte alla prima, compiuta incarnazione di un format commerciale, concepito come tale già in fase di produzione. Perché è innegabile (e non si tratta di un usuale indebolimento in diacronia) che Vacanze d’inverno sia un film fallimentare sotto tutti i punti di vista. Pochissimo divertente, melenso nelle vicende sentimentali, molle sotto il profilo narrativo, il film di Mastrocinque, onestissimo mestierante che diresse quasi 70 film, riesce a indebolire anche Alberto Sordi, a cui è affidata la vicenda centrale. Un Sordi all’apice della popolarità, che tuttavia non fa ridere quasi mai, neutralizzato da un contesto anodino dove c’è spazio solo per una già stanca ripetizione di un suo codificato personaggio. Il resto è bamboleggiamento sentimentale, è sfoggio di eleganza cheap e un diffuso spreco di attori. Il tutto, poi, ripulito e “aggarbato” come il nostro canone anni ’50 richiedeva. C’è spazio anche per una certa amarezza riguardo a classismo e differenze sociali (v. l’episodio di Vittorio De Sica), ma non c’è graffio né lucidità di sguardo. Solo glamour. Vi ricorda qualcosa? Non tanto gli sguaiatissimi cinepanettoni dei Vanzina e Neri Parenti. Semmai la commedia sentimentale italiana degli ultimi anni, stile Manuale d’amore 3. L’impressione è più che giustificata. Per i corsi e ricorsi della storia, il nostro attuale cinema commerciale somiglia decisamente alle smancerie anni ’50, frutto di un caldeggiato disimpegno. Allora, come adesso.
L’Albertone nazionale, affascinato dal bel mondo di Cortina, rinnega moglie e pure “zio Carlo”: