Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni
Fra i colonnelli della nostra commedia, tutti più o meno passati anche dietro la macchina da presa per singole o ripetute occasioni, Alberto Sordi è stato il regista più prolifico, e di sicuro non il migliore. Dalla fine degli anni ’60 fino agli anni 2000 Sordi ha diretto 16 film e qualche episodio di opere collettive, spesso centrati sul se stesso-attore e sulla declamazione di una sorta di “filosofia personale”, facile, populistica, retriva e qualunquistica come spesso gli è stato criticato durante la progressiva definizione della sua maschera di “italiano medio”. Il “Te lo meriti Alberto Sordi!” di morettiana memoria si delinea probabilmente come la chiave di lettura più pertinente: cinema che racconta luoghi comuni e dice al suo pubblico solo ciò che vuol sentirsi dire. L’italiano medio che modellizza se stesso nell’indifferente paciosità pantofolaia di una figura fittizia che, in sostanza, vuol vivere sereno e nient’altro, accanto alla moglie cicciona e ingenua. Tali tratti si accentuano ovviamente nella filmografia di Sordi regista, spesso anche sceneggiatore in collaborazione col fedelissimo Rodolfo Sonego. Film quasi sempre esteticamente irrilevanti, adesso datatissimi, con punte anche assai discutibili (gli anni del riflusso e della tossicodipendenza giovanile visti in ciabatte dal divano di casa in Io so che tu sai che io so, 1982), dominati dagli incessanti e stucchevoli coretti orchestrati da Piero Piccioni in commento musicale. Talvolta, fallimentari anche sul puro e semplice piano della commedia di costume. Fa un po’ eccezione Il comune senso del pudore (1976), reperibile in dvd Medusa, operina garbata, scritta un po’ meglio del solito, più ambiziosa nel tentativo di analisi sociale ma più umile nel trattamento del Sordi attore.
Il film si compone infatti di quattro episodi concatenati, di cui Sordi occupa solo il primo segmento per riproporre i personaggi dei coniugi Colonna già apparsi in Le coppie (1970). Poi, Sordi lascia spazio ad altre storie e personaggi, trovando soprattutto in Claudia Cardinale e Philippe Noiret due ottime prove attoriali. Affrontando i mutamenti di costume apportati nella società italiana dall’invasione massmediologica della pornografia negli anni ’70, Sordi tocca un nervo scoperto dell’epoca e coglie l’occasione per una commedia superficialissima ma divertente. Il punto di vista autoriale è, come sempre in lui, sfocato e contraddittorio. Emerge infatti un diffuso “moralismo di pensiero” (la diffidenza verso i mutamenti sociali, il rifiuto degli intellettuali che fanno sciccheria della loro spregiudicatezza morale e delle loro ardite predilezioni artistiche, il dito puntato verso la pornografia come puro affare economico), che però si contraddice soprattutto nell’episodio della Cardinale, dove al contrario oggetto di critica è la retriva cultura provinciale, con annesso, ennesimo schiaffo all’ipocrisia cattolica della “profonda Italia” (come al solito, veneta). E, alla fine, pure Giacinto Colonna si arrende ai nuovi modelli, con la consueta bonarietà e pacatezza sordiana. I singoli episodi appaiono di riuscita assai diseguale (molto debole soprattutto quello con Cochi Ponzoni), e il tempo, si sa, è un killer spietato. Anche Il comune senso del pudore, rivisto oggi, emana odori di un cinema stantio e nato vecchio. Ma nella filmografia registica di Sordi è tra i pochi film (l’unico?) a meritare ancora una visione.
Esempio di filosofia spicciola sordiana in consueta forma di tirata didascalica: