Italian Graffiti
Percorsi italiani nella (s)memoria cinematogrfaica collettiva
“Un pilota ritorna” (1942) di Roberto Rossellini: agli albori di un Maestro, fedele a se stesso anche in clima di propaganda militare
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
22/06/10 – Roberto Rossellini prima di Roma città aperta: chi era costui, in quel tempo? Un trentacinquenne che si affacciava al cinema in periodo di fascismo e guerra, e che con la sola forza del proprio stile riusciva a dribblare la committenza propagandistica, i diktat di regime e le strettoie espressive. Un pilota ritorna nacque da un’idea di Vittorio Mussolini, che firmò il soggetto con un anagramma del proprio nome riecheggiante nostalgiche romanità, Tito Silvio Mursino. Alla sceneggiatura collaborò anche Michelangelo Antonioni, e tuttavia, come sempre Rossellini ha ribadito lungo tutta la sua carriera, la scrittura del copione era tenuta in bassissima considerazione, tanto che lo stesso Rossellini cofirmava i copioni ma con costante atteggiamento insofferente e refrattario alla stesura. In questo suo secondo film tale atteggiamento verso la scrittura cinematografica emerge con una certa evidenza, poiché buona parte della narrazione è dominata da un approccio fattuale, semidocumentaristico, sulla vita, i rischi, i pericoli dell’aviazione e le sofferenze umane dei civili in tempo di guerra. Sequenze che non presuppongono un indispensabile lavoro di scrittura a monte. Malgrado si tratti di opera comunque commissionata a scopo propagandistico, l’approccio di Rossellini si mantiene quanto più possibile lontano da un giudizio. La guerra non è condannata, ma non è nemmeno glorificata. Si dispiega, bensì, tramite sequenze per lo più corali, dove italiani, inglesi e greci, nemici e alleati mischiati assieme, si trovano a dover fuggire, nascondersi e difendersi dagli attacchi bellici dal cielo. Emerge, insomma, un atteggiamento sostanzialmente umanitario, interessato al racconto di un dramma umano “a prescindere”, in cui poi trova posto anche l’illustrazione dell’ardimento degli aviatori. Il tutto, sia detto, supportato da riprese di altissimo livello stilistico.
Poi, certo, tutti i tratti più esteriori del cinema fascista e della cultura fascista sono rispettati ed enfatizzati a scopo didattico: la sequenza iniziale, quasi extradiegetica, della madre che attende a casa il figlio soldato, il buon aviatore Massimo Girotti che per parte sua vive la guerra nel ricordo della mamma a casa (la sacralità della madre in epoca fascista, e le sue forme nell’arte popolare, meriterebbero studi più approfonditi), e l’anima bella, soccorritrice di bisognosi, impersonata da Michela Belmonte, ripercorre tutti i crismi dell’idea di donna propagandata dal fascismo (da morir di risate quando Girotti, con sincera ammirazione, esclama “Che donnino assennato”…). Così come il melodramma d’amore, spinto a forza in un contesto poco accogliente, lascia sconcertati per l’ingenua convenzionalità. Ma è altrettanto evidente che a Rossellini interessa tutt’altro, ovvero il cinema inteso come documento diretto, racconto di realtà prima del giudizio, e il cinema come ardimento e sfida, non solo creativa ma anche personale. Andare a riprendere gli aerei in volo, in prima persona, a 4000 metri di altezza. Come impresa umana e artistica, vale grosso modo quanto girare Roma città aperta con la pellicola scaduta in una Roma appena liberata.