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Percorsi italiani nella (s)memoria cinematogrfaica collettiva
“In nome del popolo italiano” (1971) di Dino Risi: verso la stilizzazione della commedia all’italiana, e prime emersioni di una consapevolezza terminale
(Rubrica a cura di Massimiliano Schiavoni)
15/06/10 – Su un piano puramente contenutistico In nome del popolo italiano di Dino Risi è stato più volte considerato terribilmente profetico, poiché mette al centro della narrazione un feroce conflitto tra magistratura e arroganza industriale. E, soprattutto, tutta la costruzione drammaturgica si avvita intorno a concetti come “legittima suspicione” e approcci pregiudiziali all’iter giudiziario, litanie notissime ai nostri giorni. Lungi da noi di entrare nel merito di una tale discussione, che oltretutto ha veramente poco di cinematografico in senso stretto. Vero è che la visione del film, sotto questa luce, lascia sconcertati, e viene tanto da chiedersi se Age e Scarpelli si siano resi protagonisti di una terrificante intuizione casuale, o se in qualche modo l’Italia inizio anni ’70 facesse già presagire uno dei conflitti più duri e infiniti della nostra attuale realtà politico-sociale.
Tutto sommato si tratta di un film nemmeno troppo ricordato, quasi unanimemente considerato l’ultima grande opera di Dino Risi prima di un faticoso decadimento creativo, dovuto ai problemi ben noti che la commedia all’italiana incontrò nell’affrontare una realtà sociale troppo violenta e sfuggente per i suoi canoni come quella degli anni ’70. Di sicuro si tratta di un grandissimo film, che accanto all’istrionismo più prevedibile di Vittorio Gassman pone una delle migliori prove di Ugo Tognazzi, tutta giocata su un’amarezza e uno sdegno morale di grande pregnanza storica ed emotiva. Stavolta Risi si pone a un triplice crocevia: mescola la sua tendenza alla mostruosità umana con una riflessione dichiaratamente morale, il tutto sorretto da una sovracostruzione di genere, il giallo, come al solito secondario, approssimativo e funzionale al resto come sarà d’uso nel giallo all’italiana del decennio. Evidenti, innanzitutto, sono le spinte verso una stilizzazione sempre più consapevole degli strumenti propri ai canoni della commedia nazionale: i personaggi, specie quelli di contorno, sono connotati per gigantesche storture morali, spinti al massimo grado del ridicolo o del ripugnante (o entrambe le cose), col risultato di suonare talvolta falso, o irritante. Altrettanto percepibile appare l’aria di “fine”, di riflessione consapevole sulla stessa fallacia degli strumenti della convenzionale commedica nostrana. Ciò emerge con grande evidenza nella sequenza finale dei festeggiamenti calcistici, una delle massime punte del cinema risiano e di tutta una stagione creativa nazionale. Nell’impazzimento della folla, che il magistrato Tognazzi osserva con sguardo perso e impotente, si riassumono in una carnevalata survoltata e geniale tutti i caratteri di un approccio al reale pertinente a una nazione e, probabilmente, alla sua stessa commedia popolare. Impotenza degli strumenti di lettura di autori, personaggi e pubblico: un requiem burlesco sulla nostra commedia, molto più efficace del fin troppo consapevole balletto funebre di Alberto Sordi in I nuovi mostri (1977). Nella sequenza finale del film di Risi non è necessario enunciare, è sufficiente guardare, da fuori e da dentro il film.
Guarda un estratto video dalla sequenza finale di “In nome del popolo italiano”