Dal nostro inviato ERMINIO FISCHETTI
Nell’anno della sterile retorica sui 150 anni dell’Unità d’Italia, a cui non manca anche in questa sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma una piccola retrospettiva e una mostra, il vero omaggio alla cultura di un popolo viene fatto nei confronti della Gran Bretagna. Forse perché molto più del nostro Paese il cinema d’oltremanica ha ancora qualcosa da dire sull’oggi tenendo ben presente la cultura di ieri. Ed è sotto questa doppia contrapposizione, tra classico e moderno, fra quelli ribelli e quelli patriottici che il focus dedicato al Paese della Magna Charta si presenta all’Auditorium romano di Parco della Musica. Infatti, il focus s’intitola Punks & Patriots, appunto Ribelli e patrioti e viene diviso in due parti comprendente il cinema del passato e quello contemporaneo. La vetrina di titoli contemporanei di autori di fama internazionale freschi freschi di realizzazione si focalizza sul ritratto di un Paese totalmente cambiato negli ultimi cinquant’anni, dalla Londra degli anni Cinquanta dell’ultimo Terence Davies, nel secondo adattamento cinematografico della piece teatrale di Terence Rattigan, The Deep Blue Sea, ai più duri e contemporanei Tyrannosaur e Wild Bill, entrambi esordi alla regia di due attori, rispettivamente Paddy Considine e Dexter Fletcher, passando per l’intimista storia omosessuale di Weekend e lo spionistico ritorno alla macchina da presa del grande sceneggiatore di The Hours e The Reader, David Hare (che incontrerà il pubblico al festival) con Page Eight.
Ma ancor più succulenta resta per i cultori del cinema inglese la meravigliosa retrospettiva sul cinema classico del proprio Paese, che forse oggi più che mai si definisce per essere stato un cinema che ha sdoganato determinate tematiche sociali scottanti come l’omosessualità e il rapporto tra Oriente e Occidente, e definitivamente raccontato i mille volti di un popolo che sotto la coltre fredda e distaccata nasconde tante umane sofferenze ed emozioni. E così sei artisti del calibro dei già citati Hare e Davies, insieme a Tilda Swinton, alla regista Joanna Hogg, allo scrittore Hanif Kureishi e al compositore di Lezioni di piano Michael Nyman (questi ultimi due anche presenti al festival per un incontro col pubblico) scelgono ognuno un film “patriot” e uno “punk” per un totale di dodici opere che compongono un puzzle storico, che va dagli anni Quaranta alla fine degli anni Novanta, utile per raccontare la loro Inghilterra e finendo per scegliere i lavori l’uno dell’altro o più semplicemente di se stessi. E in questa scelta compare quanto di meglio la storia del cinema mondiale ha da offrire. Nei “punks” così possiamo assistere a commedie ealing sottilmente rivoluzionarie (quel genere che prendeva origine dallo studio che le produsse negli anni Quaranta e Cinquanta raccontando in maniera cinica le meschinità della piccola borghesia) con autori come Alexander Mackendrick con The Ladykillers e Charles Crichton, quarant’anni prima di Un pesce di nome Wanda, con Hue and Cry, nel quale il regista utilizzò come esterni, nel 1947, una Londra ancora distrutta dai bombardamenti per raccontare di un gruppo di ragazzini che sgomina una banda di criminali dell’East End; si continua con tre film manifesto della cultura gay come l’ormai classico Sunday Bloody Sunday di John Schlesinger, il volutamente disomogeneo The Last of England di un autore che non ha confini come Derek Jarman e la Londra thatcheriana di My Beautiful Laundrette di Stephen Frears e con un giovanissimo Daniel Day Lewis, l’integrazione e i conflitti con la cultura occidentale di un taxista pakistano nella provincia dello Yorkshire in My Son the Fanatic di Udayan Prasad. Ma neanche i patrioti se la cavano male: certo non poteva mancare Jane Austen con la versione, tutta BBC, del suo più cupo romanzo Persuasione, adattamento di Roger Michell, il realismo magico sullo sfondo della seconda guerra mondiale raffigurata con l’estetica più raffinata di due pellicole di Michael Powell ed Emeric Pressburger, A Canterbury Tale e A Matter of Life and Death, i toni foschi degli ambienti di Graham Greene nel capolavoro di Carol Reed The Fallen Idol, l’estetica del non sense di Richard Lester combinata con quella della piena swinging London dell’indimenticabile omaggio ai Beatles di A Hard’s Day Night, il talento drammaturgico di Harold Pinter e quello immaginifico di Jack Clayton a servizio di Anne Bancroft in The Pumpkin Eater. Ne discuteranno gli stessi artisti sopracitati in due incontri che arricchiranno la retrospettiva, cosicché all’incontro/scontro Terence Davies – Michael Nyman del 29 ottobre si susseguirà quello del 2 novembre fra David Hare e Hanif Kureishi.