Indignados

Apre il Festival del Cinema Europeo di Lecce il film di Tony Gatlif che mette in scena lo sguardo puro sul vecchio continente di una giovane migrante. Intervista al regista.

Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA

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Nonostante ogni film di Tony Gatlif (Palma per la miglior regia al Festival di Cannes per Exils nel 2004) stringa un legame indissolubile tra immagini e suoni, in Indignados – film d’apertura del Festival del cinema europeo di Lecce – si raggiunge la sublimazione dell’unione dei due elementi perché la musica riesce non solo a enfatizzare ancora di più le immagini ma si trasforma quasi in esse. La musica è nei passi di Betty, la giovane migrante che il regista algerino sceglie per regalarci uno sguardo puro e disincantato sull’Europa che vuole prendere in esame, che vuole risvegliare seguendo le battaglie pacifiche e di piazza di milioni di ragazzi e ragazze, stufi di subire la politica e oggi pronti a “curare un’Europa che è ferita”. La musica ci porta sul bagnasciuga delle coste europee, ad inizio film, le scarpe dei migranti mai arrivati nella loro “terra della libertà e del lavoro” e quelle di Betty, quando nella “società degli esclusi, dei rifiutati e dei senza documenti”, le indossa nuovamente per percorrere campagne e città dove il racconto delle terre d’Africa in rivolta (le primavere arabe) è vissuto dai suoi stessi coetanei con emozione e partecipazione attraverso un telefonino. Poi, ancora nel finale, quando è pronta a togliersele e a entrare a far parte della comunità di Indignados.

L’intento di Tony Gatlif – che ieri sera ha presentato il film in anteprima italiana, dopo la proiezione in Panorama a Berlino 2012 – era di proseguire attraverso l’audiovisivo il lavoro iniziato con il saggio di Stéphane Hessel che in Indignatevi, esorta i giovani ad alzarsi e ribellarsi. Hessel che nella sua vita di giovane ebreo francese aveva combattutto nelle fila della Resistenza, aveva visto i campi di concentramento e che alla fine del conflitto era tra gli intellettuali che scrissero e discussero la Carta dei Diritti dell’Uomo, vede solo nella trasmissione di valori etici importanti ai ragazzi, l’unico modo per salvare il vecchio continente. La speranza del novantatreenne autore francese arrivato alla stampa di ben 800 mila copie del suo piccolo saggio rifiutato da molti editori e poi pubblicato da una piccola casa editrice del Sud della Francia, Gatlif la mette negli occhi di Betty che vede (e noi con lei attraverso soggettive significative) la libertà nel cielo mentre è distesa in un campo di grano o mentre vaga disperatamente nelle baraccopoli di immigrati sparse in tutta Europa. L’autore la segue rimanendo sempre un passo indietro perchè la macchina a mano possa cogliere ogni leggera sfumatura. Un film “manifesto” per l’autore algerino che, come ci ha confessato a fine intervista, pensa il cinema del nuovo millennio in maniera diversa: “Un cineasta deve testimoniare. La testimonianza non è mai stata importante e urgente come oggi. Non la nostra analisi ma solo la testimonianza è quello che di prezioso possiamo lasciare alle generazioni future”. Un film dalle scene importanti sia quando si tratta di documentare (le manifestazioni, dalla Grecia alla Francia), sia quando attraverso la finzione – significativa la scena delle arance che rotolano giù per una discesa fino al mare e a una barca – ci porta nella crudele Europa.