In ricordo di Ken Russell

29/11/11 - A 84 anni scompare Ken Russell, vulcanico provocatore eccessivo e barocco, specializzato in eccentriche biografie di grandi artisti.

Genio o furbizia? Provocazione o compiacimento? Ken Russell, scomparso due giorni fa all’età di 84 anni, ha diviso critica e pubblico per buona parte della sua carriera. Se la censura ha continuato a perseguitare il suo cinema (soprattutto negli Stati Uniti) per tutto il suo percorso artistico, il vulcanico autore britannico apparve paradossalmente un quieto “riconciliato” in una delle sue opere più tarde, provocatoria solo nel titolo, ma poco coerente col suo mondo espressivo. Quel Whore-Puttana (1991) che in America provocò addirittura il rifiuto dell’affissione nei cinema dei suoi manifesti, e che fu goffamente rititolato solo per la versione statunitense. Una sorta di pedinamento di una prostituta, ben interpretata da una memorabile Theresa Russell, con tanto di confessioni dirette alla macchina da presa, sorretto da un approccio relativamente realistico. Quanto di più alieno all’esplosione barocca e rutilante di suoni e immagini che ha caratterizzato il suo cinema migliore tra fine anni ’60 e tutti gli anni ’70. Il vero Ken Russell, quello più visionario e spericolato, è da ricercarsi altrove.

Dopo qualche opera di diseguale riuscita, la bomba esplose una prima volta con Donne in amore (1969), trasposizione di un romanzo di D.H. Lawrence, autore bandito dalla censura britannica fino agli anni ’60. Fu una bomba esplosa in sordina, poiché, pur trattando materia ritenuta incandescente per l’epoca, per il momento il tratto cinematografico di Russell rimase trattenuto, tanto da ingraziarsi pure le simpatie dei tradizionali Academy Awards, che conferirono a Glenda Jackson un Oscar per la miglior attrice e diverse nomination al film. Fu con I diavoli (1971) che Russell assestò un colpo violentissimo al perbenismo non soltanto attinente al suo paese d’origine, tramite una prima manifestazione del suo stile più personale, fiammeggiante e survoltato. Ispirato a un romanzo di Aldous Huxley, il film si pose a narrare di un’epoca religiosa istericamente repressiva, tra sospetti di stregoneria e annesse provocazioni erotiche in ambienti clericali. Il film uscì variamente tagliato e rimontato più o meno ovunque (anche l’Italia non fu da meno, ricorrendo alla pratica, molto diffusa in quegli anni nel nostro paese, del sequestro del film). Da lì, un’escalation visiva e sonora, che condusse Ken Russell a trarre spunto da biografie di celebri artisti, soprattutto musicisti, per comporre di volta in volta performance sensoriali tutte improntate all’eccesso barocco. Da Messia selvaggio (1972) a La perdizione-Mahler (1974), da Lisztomania (1975) a Valentino (1977), e in mezzo un raro esempio di vera e propria rock-opera cinematografica: il famoso Tommy (1975) che dette vita a un fruttuoso incontro con gli Who e il loro leader Roger Daltrey. Opere, oltretutto, che contribuirono fortemente alla sperimentazione in ambito sonoro; furono tra le prime, infatti, a servirsi di nuove tecniche Dolby. L’onda buona di Ken Russell si trascinò fino agli anni ’80, di cui si ricordano gli interessanti Stati di allucinazione (1980), Gothic (1986) e L’ultima Salomè (1988). Poi, una lenta discesa, favorita da un certo diffuso ostracismo nei suoi confronti in ambito produttivo. Genio o furbizia, dunque? Probabilmente un po’ entrambe le cose. Ma, senza dubbio, un autore dotato di una propria, immensa, inesauribile “visione”.

MASSIMILIANO SCHIAVONI