L’epilogo: Venezia 66 in retroguardia
(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)
15/09/09 – Quella che si è appena conclusa è una Mostra che non ha regalato grandi emozioni nè passioni, ad esclusione della passerella improvvisata di Chavez, ospite di Oliver Stone, che ha creato qualche scompenso alle autorità politiche e ai media. Alla fine la qualità complessiva della programmazione si è rivelata in linea con quella dello scorso anno, inferiore comunque ai fasti della sessantaquattresima edizione nel cui concorso si palesarono ben cinque capolavori o quasi: Redacted di Brian De Palma, I`m Not There di Todd Haynes, Cous cous di Abdellatif Kechiche, Chaos di Youssef Chahine e Sukiyaki Western Django di Takashi Miike. Come spesso accade poi, non sono stati premiati i film che avevano raccolto il maggior consenso da parte del pubblico e della stampa. Lebanon, Leone d`Oro, e Women Without Men, Leone d`Argento, sono buoni titoli ma non certo indimenticabili e neppure si può dire, come si è fatto, che l`accoppiata abbia la significativa valenza politica di riunire Israele e Iran in uno stesso palmares, visto che il secondo non è un film iraniano (la regista è esule da anni e la produzione è tedesca, austriaca e francese), mentre il primo è stato accusato da più parti di essere troppo indulgente con i soldati israeliani, tanto che in Libano la vittoria veneziana del film è stata polemicamente sottaciuta dalla stampa locale. Quel che possiamo dire noi è che Lebanon ci è parso un lavoro discreto, con una forte idea visiva (tutto è visto dall`interno del carrarmato) che procede con coerenza. L`unico appunto che ci sentiamo di fare è nella presenza del personaggio del falangista, la cui cattiveria è così sopra le righe da rischiare di assolvere gli altri personaggi. Ma il senso ultimo del film è tutto in una sequenza, quella della donna umiliata e offesa, vista in soggettiva attraverso il mirino, in cui il soldato e lo spettatore si trovano insieme a soffrire per la sua sorte, costretti a continuare a guardare senza poter intervenire (un momento molto intenso che è anche una piccola e magistrale lezione di pratica e teoria del cinema). Per il resto Lebanon dà a volte l`idea di essere prigioniero della sua stessa claustrofobica impostazione, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi.
Detto ciò, un film come Lola di Brillante Mendoza ci era sembrato decisamente migliore, oltre che visivamente innovativo, eppure non ha vinto nessun premio. Ma quel che stupisce ancor di più è l`assenza di riconoscimenti a Werner Herzog, presente in Concorso con ben due film e ignorato completamente dalla giuria. Al regista tedesco si poteva almeno consegnare il Leone speciale per l`insieme dell`opera, premio che quest`anno non è stato assegnato e che nel 2008 era andato a Werner Schroeter. O quantomeno si poteva premiare Nicholas Cage, straordinario e sorprendente protagonista de Il cattivo tenente in versione herzoghiana. L`aver ignorato Herzog è senz`altro l`errore più grave commesso dalla giuria, insieme alla decisione bislacca e di natura diplomatica di premiare la già affermata Jasmine Trinca come miglior interprete emergente. Le stesse perplessità le rinnoviamo per Orizzonti, sezione quantomai schizofrenica, che vista la sua presunta carica innovativa dovrebbe quantomeno far cadere le distinzioni tra finzione e documentario. Invece continuano ad esserci due premi distinti e quel che lascia più di un dubbio è, in particolare, la scelta di riconoscere al cinese 1428 la qualifica di miglior documentario. Il film di Du Haibin racconta sì in modo convincente e con la giusta carica polemica le conseguenze del terribile terremoto verificatosi nel Sichuan lo scorso anno, ma lo fa in assenza di precise scelte estetiche. 1428 è un`inchiesta ben fatta e nulla più. Nella stessa sezione c`era ad esempio un film come Villalobos del tedesco Romuald Karmakar capace, attraverso la figura del famoso dj, di raccontare il farsi e il disfarsi della musica da discoteca, consentendoci anche di avvicinarci a quel mondo notturno grazie a una semplice videocamera e al ricettivo spirito d`osservazione del regista (Villalobos conferma tra l`altro che la Germania da più di cinque anni è all`avanguardia nella pratica documentaria).
Se Questi fantasmi conferma il suo ruolo necessario di riscoperta del nostro cinema dimenticato (ma al contrario degli anni scorsi quasi nessuno tra i media si è peritato di prestargli attenzione; è pesata senza dubbio l`esclusione tra i curatori di un personaggio come Tatti Sanguineti) e se il Fuori Concorso ha regalato dei titoli interessanti, pur apparendo troppo eterogeneo (film da Mezzanotte come Brooklyn`s Finest e Rec 2 sono stati accostati a lavori di ricerca come Napoli Napoli Napoli e Prove per una tragedia siciliana e a attestati decisamente regressivi come Le ombre rosse di Citto Maselli e L`oro di Cuba di Giuliano Montaldo), Controcampo italiano che ha visto vincitore, come da previsione, Cosmonauta di Susanna Nicchiarelli si è rivelata invece una sezione interessante, in grado di testare con discreta varietà lo stato presente del cinema italiano. à uno spazio che può crescere e che con il tempo può dare alla nostra cinematografia un po` di visibilità e forse anche qualche aiuto sul piano produttivo (è previsto infatti un premio in denaro).
Tutto questo però non nasconde il fatto incontrovertibile che Venezia, dacchè esiste il festival di Roma, continua a giocare in difesa per diversi motivi: mancano le strutture (cosa che prossimamente dovrebbe essere risolta), manca un mercato e manca un forum che permetta di promuovere e sviluppare i progetti dei giovani registi. Perciò la Mostra è e continua ad essere una vetrina di lusso del cinema internazionale, in cui però tutto è fermo e raramente vengono valorizzati titoli autenticamente innovativi (Still Life è stato l`ultimo esempio in tal senso). E quest`idea di stasi si è avvertita quest`anno con più forza anche in conseguenza di alcune scelte di programmazione: l`una è stata quella di ospitare in Concorso l`ultima opera di Micheal Moore (il cui cinema televisivizzato ha creato non pochi danni al cinema sanamente documentario), come gesto di finta apertura all`altro cinema; l`altra è triplice e ha fatto sì che in una stessa edizione si vedesse un film di Maselli, uno di Montaldo e uno di Lizzani (con un documentario su Giuseppe De Santis), rappresentanti del nostro cinema più invecchiato e datato. Eppure Venezia riesce a mantenere saldamente il primato tra i festival italiani grazie, oltre che alla sua storia e a un programma comunque molto ricco, anche a un direttore come Marco Mà¼ller che è in grado, anche per vie traverse, di imporre le sue idee eversive e eccentriche sul cinema e nonostante la presenza sempre più invasiva degli apparati (leggasi Medusa) che quest`anno ha portato a situazioni paradossali come quella di dover ascoltare alla conferenza stampa de Il grande sogno una lezione sul Sessantotto tenuta da Carlo Rossella.