Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni
Per la recente mostra fotografica itinerante “Famiglia all’italiana – Family Italian Style”, organizzata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, si è scelto come fotografia-manifesto uno scatto dal set de Il padre di famiglia di Nanni Loy, una delle radiografie più amare e significative sui mutamenti antropologici in atto nel nucleo familiare in tutto il secondo dopoguerra italiano. La mostra ha selezionato un amplissimo patrimonio fotografico sul cinema nazionale che, lungo tutto il Novecento fino ai giorni nostri, abbia narrato profili e sconvolgimenti all’interno dell’istituzione sociale (nel bene e nel male) più fondante del nostro Paese. Il padre di famiglia, disponibile in dvd per 01, si colloca in un periodo della nostra commedia produttivamente invidiabile: siamo più o meno allo zenit della popolarità del cinema italiano nel mondo, la coproduzione anche transoceanica è una prassi, e da Hollywood qualche star si concede volentieri a registi e storie di casa nostra. Non sempre, va detto, lasciando tracce indelebili nella storia del nostro cinema. Probabilmente in virtù dell’ottimo successo americano di Le quattro giornate di Napoli (1962), Nanni Loy dispone di un buon credito presso Hollywood. Così ecco che a fianco di Nino Manfredi troviamo il lucente sorriso di Leslie Caron, piovuta a Roma direttamente dall’universo parallelo del musical classico americano per incarnare un’italica moglie progressivamente abbandonata a se stessa.
Più francese che americana, più ballerina che attrice, la Caron appare un po’ fisicamente incongrua, ma la sua prova resta comunque sorprendente per aderenza al ruolo e senso del dramma. La sua Paola, moglie realmente innamorata di un architetto progressista, di cui ha sposato anche idee e convinzioni, finisce paradossalmente per compiere un percorso di degrado personale come se fosse al fianco del peggior uomo reazionario. Il marito non vuole figli, ma gliene fa sfornare quattro. Il marito vuole che lei continui a lavorare, ma poi accetta senza battere ciglio che faccia la madre a tempo pieno. Lei rinuncia serenamente perché convinta del proprio amore, finché, poco alla volta, lo spettro dell’esaurimento nervoso non la invade totalmente. Benché molto commovente nella sua graduale e impercettibile spirale drammatica, Il padre di famiglia ha in realtà anche l’ambizione di raccontare un’intera generazione e una fondamentale transizione culturale del nostro Paese. Marco e Paola appartengono alla generazione che dopo la guerra era convinta di poter ricostruire un paese migliore, retto da principi più sani e libertari (si veda l’accanimento della coppia sul metodo-Montessori). A poco a poco, l’architetto Marco constata il proprio fallimento (agghiaccianti le riprese aeree dei cantieri edili nella periferia romana), così come lui stesso è espressione di una maschiezza italica lontana dagli stessi principi in cui crede, ancora incapace della coerenza necessaria per un reale progresso. La narrazione è ampia e corposa, pur spesso rinchiudendosi dentro le quattro pareti di casa, ed è sostenuta da un linguaggio efficacemente poliedrico, che alterna sprazzi quasi cronachistici a sapienti sequenze drammatiche. E’ moderno soprattutto l’uso del commento sonoro (le musiche sono firmate da Carlo Rustichelli), utilizzato in senso espressivo nel suo frequente ingolfarsi di variegate sollecitazioni (incessanti rumori di fondo, oggetti e porte che sbattono in continuazione, voci che si sovrappongono…). Il padre di famiglia è uno degli apici della commedia all’italiana, capace di coniugare convenzione e ricerca sul mezzo, e sicuramente uno dei momenti più alti della carriera di Nanni Loy. Curiosità: il ruolo di Ugo Tognazzi era stato scritto per Totò, che morì dopo due giorni di riprese. In alcuni fotogrammi, però, si può ancora intravedere.
Carlo Rustichelli | |||