Dal nostro inviato SILVIO GRASSELLI
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Già Fuori concorso alla scorsa edizione del Festival di Roma, esce in sala Il mio migliore incubo!, diretto dalla cinquantaduenne francolussemburghese Anne Fontaine (Coco avant Chanel, 2009); una commedia romantica di grana grossa che vanta tre interpreti protagonisti tra gli attori francofoni più richiesti nelle ultime stagioni (due dei quali pilastri della storia del cinema francese). Galeotta fu la scuola: un padre spiantato e sciagurato e una coppia di borghesi altolocati incrociano le loro strade a una riunione scolastica; l’uomo non perde l’occasione per approfittare della loro disponibilità da benpensanti e così intreccia il destino del figlioletto – bello e intelligente – e il proprio a quello della famiglia ricca. Gli esiti, com’è ovvio, saranno i più imprevedibili e dunque anche quelli facilmente previsti. “Una commedia che lavora sui clichè”, l’ha definita un po’ sfacciatamente la regista: ma di consapevolezza critica se ne vede poca, mentre di luoghi comuni, trucchi di sceneggiatura d’avaspettacolo, doppi sensi, gag di riciclo e varie amenità se ne vedono tante, troppe.
Isabelle Huppert recita come dovesse fare la caricatura di se stessa, André Dussolier ormai è ridotto all’esercizio di due espressioni due, e il vulcanico Poelvoorde – sulle spalle del quale pesa tutta la responsabilità di garantire il minimo sindacale delle risate – seguita la sua carriera di belga rozzo ma dal cuore d’oro. Giunti alla metà del film arriva l’illuminazione: se la sceneggiatura fosse stata prodotta in Italia sarebbe diventata un titolo della premiata ditta Vanzina e non è neppure scontato che alla fine i risultati sarebbero stati peggiori. Nonostante qualche trovata “carina” e qualche arguzia appena sopra il livello della pura gastronomia, Anne Fontaine non riesce a far male ai borghesi alla cerchia dei quali sa fin troppo bene di appartenere: non le resta che giocare al teatro dei burattini con i suoi personaggi, creare un po’ di bagarre per poi far precipitare tutto verso l’invincibile gorgo dell’insopportabile lieto fine, rimandato oltre ogni possibile condiscendenza.
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