Il mio domani

29/10/11- In concorso al Festival di Roma, Marina Spada torna alla regia dirigendo Claudia Gerini nel suo primo ruolo drammatico da protagonista.

Dal nostro inviato Silvio Grasselli

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  • La regista: Marina Spada
  • La protagonista del film: Claudia Gerini
  • Al terzo lungometraggio – anche se le cronache ufficiali tralasciano il radicale Forza cani citando il precedente Come l’ombra come esordio – Marina Spada si presenta ufficialmente al grande pubblico – selezionata in Concorso al Festival del Film di Roma – con un film squisitamente “del momento”, un’interprete protagonista celebre ma artisticamente evoluta – Claudia Gerini – e una riconfigurazione estensiva delle sue maggiori ossessioni cinematografiche. Metafisica per le scimmie doveva essere il titolo, successivamente trasformato nel più lineare e sorridente Il mio domani: in questo cambio d’insegne sta forse la sintesi del percorso costituito dal film. Ancora una volta nel cinema di Marina Spada la protagonista è una donna apparentemente realizzata, ma sola e al contempo bloccata da un implicito quanto viscerale legame familiare. Ancora una volta si ritrova il rifiuto delle relazioni con l’altro sesso al di fuori di un consumismo delle menti e dei corpi che sembra ormai uno stabilizzatissimo status quo. In fondo un epilogo di lutto e rinascita nel segno di una nuova libertà. Il teatro dell’azione non è più ristretto alla sola città di Milano – che per Spada come per pochi altri cineasti rappresenta un universo di riferimenti inesauribili, una patria irrinunciabile – ma la metropoli lombarda resta il cuore dell’ispirazione e il paesaggio prediletto: le chiuse inquadrature sulla campagna e sull’orizzonte di una provincia rurale e religiosa non ancora scomparsa (insieme ai brevi scorci ripresi in Grecia) premono ai fianchi i quadri dinamici e compositi, geometrici e fotografici costruiti sulla carne viva di una Milano sempre diversa.

    Come già nei precedenti film, ne Il mio domani l’ascesi del racconto è contemporaneamente il pregio migliore e la fragilità più evidente: l’elemento che fonda la distanza dalla produzione nostrana e suggerisce l’apparentamento al migliore cinema mitteleuropeo; ma anche quello che spinge il film a procedere in bilico, sempre sul punto d’impantanarsi, e che tende pericolosamente a far coincidere una frammentarietà ellittica con un empasse sempre in agguato. Diversamente da Come l’ombra – in cui i corpi dei protagonisti erano messi sullo stesso piano del paesaggio cittadino, e la distanza era l’inevitabile misura per guardare entrambi, insieme – lo sguardo della regista sembra avvicinarsi in modo inedito ai volti e ai corpi dei suoi protagonisti, seguirli e quasi inseguirli in preda a un leggero affanno che affiora alla superficie dello schermo come una fibrillazione appena percepibile. Infine la prova di Claudia Gerini – che nonostante la sua nota romanità, ricostruisce cadenze e sfumature infinitesime di un vago ma credibile accento lombardo – rende testimonianza del talento di Marina Spada nella direzione degli attori, ma ancor di più della sua accuratezza di artista artigiana. Un’artista che tenta ora un’evoluzione verso un nuovo corso, magari senza ottenere risultati definitivi, ma restando coerente alla propria storia e distante dall’imperante mediocrità.

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