Dalla nostra inviata LAURA CROCE
“Il cinema non avrà un futuro prossimo senza la sala”, questa la convinzione del Presidente di Agis e Anec Paolo Protti, che ha aperto con queste parole il convegno “Il cinema È la sala”, tenutosi nell’ambito della 68/a Mostra del Cinema di Venezia. Un incontro organizzato per ribadire la centralità dell’esercizio nella filiera della settima arte, ma anche la necessità di intervenire sul settore non solo con le parole ma con politiche concrete volte ad affrontare problematiche fondamentali che vanno dall’emorragia delle sale di città allo switch off verso il digitale. “La crisi ha generato un accumulo di crediti nei confronti dello Stato che sta diventando una strozzatura – ha spiegato Protti – “a fronte del ruolo centrale delle sale, nel FUS non c’è un adeguato riscontro in numeri, è necessaria una redistribuzione delle risorse diversa da quella fatta in precedenza”. La priorità, in particolare, è “rendere operativo e reale il sostengo alle sale urbane tradizionali, e non si tratta di una difesa d’ufficio. Non si può pensare a un mercato con più schermi senza mantenere in vita quelli che già esistono e che rappresentano una precisa fascia di pubblico”.
“Siamo a un crinale, un momento in cui il tentativo di rilancio rischia di fallire per una non sufficiente attenzione” – ha detto a proposito Bruno Zambardino, ricercatore presso lo IEM – Fondazione Rosselli, che al convegno ha presentato un esaustivo studio riguardo la situazione dell’esercizio italiano, da cui sono emersi diversi fattori di fragilità, come la tipologia delle imprese che operano nel settore (principalmente società di persone e ditte individuali), ancora concentrate per la maggior parte al Nord e caratterizzate da bassi livelli di fatturazione. Anche per quanto riguarda il digitale, nonostante la notevole evoluzione che dal 2006 al 2010 ha portato all’adeguamento tecnologico di circa 800 schermi, rimane notevole la distanza rispetto ai nostri competitor europei. Colpiscono poi i numeri delle chiusure, 550 complessi in sei anni, pari a 663 schermi: una vera e propria “ricomposizione morfologica”, come l’ha definita Zambardino, che ha fatto scendere l’incidenza dei monosala al 17%, e che rischia di diventare ancora più radicale in mancanza di un piano preciso in vista dello switch off digitale.
“Il cinema italiano a inizio 2011 ha raggiunto una quota del 40%, raggiungendo addirittura gli standard francesi. Ma esistono zone d’ombra, perché gli incassi sono realizzati su pochissimi titoli, la promozione all’estero continua a essere insufficiente e soprattutto i risultati dell’esercizio sono minori delle sue potenzialità”, ha confermato il prof. Gianni Celata dell’Università La Sapienza di Roma. Nonostante una struttura demografica e territoriale simile, il Paese d’Oltralpe continua a registrare più del doppio dei nostri incassi e dei nostri ingressi, segno – secondo Celata – che esistono fasce di pubblico ancora da intercettare, come quella over 44 che sta rimanendo orfana delle sale urbane e che ancora non esprime tutta la sua domanda di cinema. A influire negativamente ci sono poi le differenze regionali e i balzelli fiscali, e questo malgrado la sala cinematografica continui a valere per il 30% nella creazione del valore del prodotto film e funga da fondamentale amplificatore rispetto agli anelli successivi della filiera. Senza dimenticare poi il valore sociale di luogo di aggregazione e il ritorno economico che gli investimenti in settima arte garantiscono al territorio e all’erario.
Oltre a intervenire sul piano nazionale e locale per la sopravvivenza dei cinema di città, un’altra leva importante potrebbe venire dalla pubblicità. Come ha illustrato Fidelio Perchinelli, presidente di Audimovie, gli studi condotti a favore degli inserzionisti dimostrano infatti come i frequentatori delle sale costituiscano un target ben definito e soprattutto appetibile, equamente suddiviso tra uomini e donne ma con percentuali più alte riguardo al reddito e al grado di istruzione rispetto alla popolazione italiana complessiva.
C’è però anche chi sul futuro della sala esprime maggiore pessimismo. Secondo Andrea Occhipinti, patron di Lucky Red, “col tempo, un certo tipo di sala è destinato a scomparire. I multiplex rispondono a un modello economico più redditizio e al passo coi tempi, più schermi miglior rapporto costi-benefici, hanno la possibilità di avere bar, vendere pop-corn, e in generale di avere un’offerta più attraente per un giovane come luogo d’aggregazione”.