L’insopportabile e rozzo moralismo del nuovo film di Christian Molina, presentato al 5° Festival Internazionale del Film di Roma
(Dal nostro inviato Emanuele Rauco)
Ascolta l’intervista di RADIOCINEMA ai protagonisti di “I Want to Be a Soldier”:
- il regista Christian Molina, la produttrice Valeria Marini e l‘interprete Ben Temple
Un brutto film non si nega a nessuno ed è comprensibile, basti pensare agli strafalcioni di registi altrove ottimi; ma nel caso di Christian Molina si potrebbe configurare la presenza di un’incompetenza di fondo. Dopo Diario di una ninfomane, il regista catalano insiste con una produzione internazionale (nella quale è coinvolta chissà come anche Valeria Marini) che gli fa girare il film in America e in inglese per parlare della violenza, dei media, del militarismo. Ma come l’altro pare non sappia dove mettere le mani. Alex, il protagonista, è un bambino la cui felicità comincia a spegnersi quando, dopo l’arrivo dei fratellini gemelli e della tv in camera, il suo amico immaginario astronauta diventa un feroce militare che lo spinge a sondare il lato più oscuro della sua personalità. Una riflessione sull’innocenza del diavolo e sulle radici del male scritta da Cuca Canals e dal regista impastando il già pesante preparato con affondi contro la tv e via moraleggiando.
Al centro del film infatti c’è la battaglia che il decenne protagonista affronta all’interno della sua psiche, tra l’aspirazione a essere un bravo bambino, rispettoso e sognatore, e la pulsione – fomentata dalla propaganda militarista, dalla spettacolarizzazione delle immagini – alla violenza, risolta in un inno estremo alle regole, alle norme, alle limitazioni di qualunque tipo: al di là dell’ambiguità pericolosa della risoluzione e dello schematismo assoluto delle morali (tv male, scuola bene, genitori bene, amici male e così via), il tonfo vero la pellicola lo fa dal punto di vista del linguaggio, ricorrendo a didascalismi e semplificazioni ridicole, riciclando di continuo battute da film, approdando a una doppia, aberrante paternale – prima contro gli adulti e poi contro la tv. Un’opera rozza, ricattatoria e autoritaria, scritta senza alcun senso della finezza e delle sfumature (astronauta e soldato, amici immaginari come l’angelo e il diavolo dei cartoon), con uno sviluppo sciatto e mal gestito – oltre che mai credibile – e retto da un regista che rovina molte inquadrature sbagliando l’angolo di ripresa o l’obiettivo. Conformi al tono, tutti gli attori vanno sopra le righe, su tutti un Robert Englund psicologo che fa più paura del soldato. Velo pietoso su Valeria Marini, in scena per meno di due minuti, il tempo necessario per sembrare un pesce fuor d’acqua.
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