Non perde tempo il Golden Globe, che nella serata di ieri condotta da Ricky Gervais a Los Angeles, conferma, mai come in quest’edizione, tutti i pronostici di un premio votato all’esaltazione delle star, che permettono gli ascolti e l’interesse del pubblico alla serata. Altrimenti, come si giustificherebbe la consacrazione dell’evergreen Madonna per la miglior canzone di W.E., che vede l’icona pop anche dietro la macchina da presa dello stroncatissimo biopic romanzato dell’affaire più chiacchierato del Novecento, ovvero quello fra il monarca inglese Edoardo VIII e la pluridivorziata americana Wallis Simpson? Come si giustificherebbe la vittoria dei soliti mostri sacri dalla lunga e amata carriera come Martin Scosese, Jessica Lange, Meryl Streep, Laura Dern, Woody Allen? Forse non sarà che ancora non si riescono a trovare i loro degni eredi? Ma è sin dal primo annuncio, quello al miglior attore non protagonista, che la prevedibilità e la vetustà viene messa in atto: vince il veterano Christopher Plummer per la commedia indipendente Beginners, un premio che pone fine ad anni di totale indifferenza a un interprete di razza che ha superato ormai l’ottantina. Prosegue su quella scia la premiazione della serata sia nell’ambito cinematografico che televisivo. Non c’è storia per il miglior film, l’attrice e l’attore della categoria della commedia/musical: che Michelle Williams avrebbe scalzato Charlize Theron, Kate Winslet, Jodie Foster e Kristen Wiig per il suo ritratto di Marilyn Monroe in My Week with Marilyn e che il francese Jean Dujardin avrebbe fatto altrettanto con Gordon-Levitt, Gleeson, Gosling e Wilson si sapeva da prima che fossero annunciate le candidature lo scorso mese. Per quanto riguarda The Artist probabilmente era già cosa certa dal Festival di Cannes. Idem per il miglior film straniero: Una separazione di Asghar Farhadi, evidentemente favorito sin da Berlino. Nella sezione drammatica, George Clooney fallisce come produttore, sceneggiatore e regista de Le idi di marzo, ma trionfa come attore insieme al film che lo vede protagonista: Paradiso amaro, fatica del ben più esperto collega Alexander Payne. Per rimanere nel solco della tradizione, non poteva mancare Meryl Streep che probabilmente supera qualsiasi ritegno dopo questa ottava consacrazione per il ritratto agiografico di Margaret Thatcher in The Iron Lady, una pellicola anacronistica se si considera il periodo storico nel quale viviamo e che è stata fonte di boicottaggio nei cinema del nord dell’Inghilterra. Octavia Spencer è straordinaria attrice non protagonista per The Help.
La televisione per quanto altrettanto prevedibile nelle sue conferme si rivela salomonica nella sua distribuzione fra i network e i vari prodotti concedendo vittorie comunque corrette: consacrata migliore serie drammatica la new entry Homeland, versione USA targata Showtime di una serie israeliana incentrata su una agente della CIA che crede che un ex-prigioniero di Al-Qaida faccia parte di una cellula dormiente del terrorismo. Sale sul podio anche la sua protagonista Claire Danes. Dopo anni dalla chiusura di Frasier, Boss, serie di Starz! incentrata su un fittizio sindaco di Chicago, segna il ritorno in grande stile ai vecchi fasti di Kelsey Grammer. Il trono di spade costosissima riproduzione fantasy dei romanzi di George R. R. Martin deve accontentarsi solo del premio all’attore non protagonista Peter Dinklage, mentre Jessica Lange rappresenta con il quinto globo d’oro della sua lunga e onorata carriera, grazie al suo personaggio della megera Constance, la hit di ascolti di FX American Horror Story. Nel versante miniserie/film per la tv sono gli inglesi a dettare legge, e a ragione; vengono infatti ripetute quasi del tutto le vittorie degli Emmy conferendo ai due favoriti Downton Abbey e Mildred Pierce, rispettivamente il premio per la migliore miniserie e quello alla sua protagonista Kate Winslet. La vittoria di Downton Abbey, trasmesso negli Stati Uniti da PBS, toglie anche quest’anno il premio alla HBO nella suddetta categoria – lo scorso anno aveva infatti conquistato il trofeo la miniserie francese di Olivier Assayas, Carlos, distribuita da Sundance Channel. L’altrettanto britannicissimo Idris Elba è invece l’incontrastato attore protagonista per la miniserie antologica Luther. Le novità invece dominano le commedie consentendo pur sempre a veterani di avere un minuto d’attenzione: al terzo anno e dopo un totale di sette nomination la mordace Modern Family è finalmente migliore serie comica dei Golden Globe, Laura Dern con la deliziosa Enlightened, serie dal piglio indie creata dalla stessa attrice e da Mike White, migliore interprete femminile, mentre il riciclato Joey di Friends che interpreta se stesso nell’originale Episodes quello maschile.
Forse questo 69° anno dei Golden Globe verrà ricordato come quello dei grossi numeri per quanto riguarda la quantità di vittorie dei suoi protagonisti, ma soprattutto sarà ricordato come l’anno del tre, questo è infatti il numero di vittorie che questa sera hanno raggiunto Laura Dern, Claire Danes, Kelsey Grammer, Kate Winslet, Martin Scorsese e George Clooney! Quel che conferma le certezze è solamente la sensazione della noia e del già visto.
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