Il cinema di genere, l’horror-thriller in particolare, ormai in Italia è roba per pochi. Anzi, per molti registi e appassionati che lavorano in modo assolutamente indipendente perché le grandi produzioni non vogliono più investire nulla e perché sostanzialmente non vogliono più rischiare; ma per pochi, pochissimi spettatori. L’indipendenza e l’autarchia che lascia questi registi nell’anonimato e nel non visto è un circolo vizioso cui sembra difficile trovare una via di fuga. L’unica possibilità a questo punto forse potrebbe essere la nascita di un grandissimo autore, una sorta di deus ex machina, che anche con un low-low-budget possa essere in grado di tirar fuori il capolavoro.
Non è purtroppo il caso di Hypnosis diretto dal duo 12/77, sigla dietro alla quale si celano i nomi di Davide Tartarini e Simone Julian Cerri Goldstein. Hypnosis è un film che soffre di non pochi difetti. Nella vicenda di un uomo con disturbi psichici costretto a ricorrere alla ipnosi per riportare alla luce eventi drammatici relativi alla sua infanzia, si coglie il classico coté da thriller paranormale, un versante tremendamente rischioso cui i registi finiscono per cadere. In situazioni del genere infatti sarebbe necessaria l’asciuttezza della sceneggiatura e la creazione di personaggi capaci di affondare nella propria psiche e dunque di possedere una profondità di carattere che qui manca. Non solo: proprio perché giocato sul tema dell’assenza (la mente che non riesce a ricordare e a visualizzare), Hypnosis giustamente prova almeno a lavorare su atmosfere misteriose e sulla suspence per qualcosa che deve accadere e che di volta in volta viene rimandato. Ma è qui che il progetto crolla definitivamente: la regia è sin troppo elementare, la camera soffre spesso di una immobilità decisamente eccessiva vista la tensione che dovrebbe nascere nello spettatore e, infine, la fotografia è del tutto inadeguata, incoerente da una inquadratura all’altra e ingiustificata in certe soluzioni luministiche; insomma, il tutto risulta troppo pesantemente artigianale e la cosiddetta messa in scena fatta di atmosfere latita.
Decisamente interessante la location scelta, un paesino lombardo isolato e inquietante in cui si rifugiano i personaggi per far sì che il protagonista “riveda” la sua infanzia; ma non basta. Hypnosis finisce per essere purtroppo l’ennesimo “vorrei ma non posso” del nostro cinema di genere odierno, il tentativo sia pur generoso di far rinascere una tradizione un tempo viva e oggi costantemente rifuggita da produttori, investitori e distributori. Eppure, non appena esce un horror men che mediocre targato Hollywood, una certa fetta di pubblico che va al cinema la si trova sempre. Lo spettatore italiano che ha imparato a riapprezzare la nostra commedia, magari un giorno potrà tornare ad appassionarsi anche alle storie orrorifiche made in Italy. Come ciò sia possibile però è ancora tutto da vedere.
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