Dalla nostra inviata Giovanna Barreca
Dalla spiritualità luminosa di Terrence Malick, finiamo in una storia sulla spiritualità distorta e demoniaca, ‘muta’ messa in scena da Bruno Dumont. La banalità del male che ha caratterittato diverse sue opere – ricordiamo che l’autore belga vinse il Gran Premio della Giuria con L’Humanité nel 1999 e nel 2006 con Flandres – qui assume un aspetto maggiormente inquietante: il protagonista indossa le vesti di un moderno satana. Un ragazzo (David Dewaele) vive e ‘cura’ i compaesani di una piccola realtà. Alcuni credono nelle sue doti e lo adorano, altri lo guardano con diffidenza e sospetto. Solo una ragazza (Alexandra Lematre) vuole la sua amicizia (il suo amore) e gli chiede di uccidere il padre violento (scena iniziale del film quando la mira del bersaglio e lo sparo avvengono in una maniera così rapida e senza alcun senso di tensione che ci aiutano a catapultarci immediatamente in quella piccola comunità) che non lasciavano presagire nulla di buono. Uccide ma in due casi ridona anche la vita. ’La ragazza’ passa diverse ore della giornata con l’uomo: gli porta da mangiare e da vestirsi e salutano spesso inginocchiati l’alba di un nuovo giorno accanto al riparo nella radura di un bosco dove l’uomo crea un giaciglio.
Ogni nuovo incontro è scandito da un gesto preciso: lei si avvicina e appoggia la testa nell’incavo della spalla di lui. Inquadrature sempre in campo lungo e descrizione di spazi ampi e di distese deserte ma mai un film ci aveva comunicato una tale senso di claustrofobia e inquietudine. Come in Renè esaspera il tema della solitudine e della dannazione dell’individuo ma crea un discorso più personale, minimalista e lucidissimo sul rapporto con Dio e la fede nella società, cercando di interpretare i segni del nostro tempo incerto. Segue una sorta di attesa sospesa e un colpo di scena finale imprevedibile che rimette in gioco tutto. Probabilmente il film sarebbe piaciuto molto a Pier Paolo Pasolini che, come ricorda il volume “lo cerco dappertutto” di Gabriella Pozzetto, in Teorema anticipò il futuro e un dialogo tra fedeli e farisei: “Oggi l’unico punto di contatto possibile è la morte”.