Non sembra destinato ad esaurirsi il filone aureo dei nuovi film ballerecci statunitensi, tanto che dopo l’ennesimo Step up e il tentativo di emulazione europea Street Dance 3D, arriva anche il sequel che non ti aspetti: Honey 2. Neanche a dirlo, si palesa subito pretestuoso il legame con il precedente film del 2003, interpretato da una convincente Jessica Alba in versione dance e ovviamente troppo smielato (con un titolo così, d’altra parte, che altro ci si poteva aspettare?) ma comunque responsabile, o colpevole a seconda dei punti di vista, di aver rilanciato e consolidato un genere di grande successo, debitore di Fame e dei classici del musical eppure anche del tutto diverso, pericolosamente vicino ai talent show televisivi, alle pubblicità di sportsweare e ai videoclip. Oltre a confermare tutte queste caratteristiche, Honey 2 ha l’aggravante di ricalcare in maniera pedissequa stili, storie e perfino coreografie, senza nemmeno tentare il minimo sforzo per trovare una propria identità e una propria ragion d’essere rispetto alla marea di prodotti analoghi che sta inondando gli schermi. Immancabile la protagonista con il background problematico: questa addirittura comincia uscendo da un riformatorio e svela pian piano di essere rimasta orfana a 10 anni avendo perso i genitori in un incidente d’auto, ma ci sono anche il provino che comincia male alla Flashdance, la band di street dance rivale che cerca di rubarsi i ballerini, lei che sognando la gloria danza al buio durante l’orario di chiusura della sala prove pensando di non esser vista ecc ecc…
Il punto più alto però viene raggiunto nella coreografia finale, che oltre a sfruttare l’idea degli abiti fosforescenti (a metà tra i led usati nell’ultimo Step Up e i costumi di Tron: Legacy), inserisce a forza due passi maldestri di danza classica perché ultimamente va di moda mescolare la break con le mezzepunte. Insomma, c’è proprio da sperare che anche i fan più incalliti dei dance movie finiscano per averne abbastanza di vedersi propinare sempre gli stessi adolescenti vestiti come in uno spot della Freddy, sempre gli stessi passi e sempre le stesse narrazioni inutili e imbarazzanti di fondo, così che anche questo abusatssimo genere possa evolversi e puntare verso nuovi e meno patetici orizzonti.