Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA
Una delle peculiarità di Historias que so existem quando lembradas, presentato all’interno delle Giornate degli autori dalla giovane autrice brasiliana Julia Murat (figlia della cineasta Lucia, protagonista della lotta contro la dittatura negli anni ’70), è l’intrigante e sapiente commistione di finzione e verità. Narrando le vicende di un villaggio sperduto nelle campagne del Brasile, la pellicola racconta sia il luogo nella maniera più realistica possibile che la favola ad esso legata. “In questo posto ci siamo scordati di morire”, afferma uno dei personaggi. Ascrivibile al filone realistico per la forte aderenza al reale, grazie a una fotografia sospesa tra visioni di un mondo perduto e documentazione presente sulla condizione di vita dei protagonisti, il film ci presenta personaggi fortemente empatici: l’anziana Madalena dalla ritrovata vitalità grazie all’arrivo della giovane fotografa Rita, in cerca a sua volta di un risveglio emotivo: “Un animo umano che ha bisogno di ritrovarsi”. E con loro gli abitanti, ormai tutti anziani, del luogo.
La presenza della fotografa Rita lascia emergere tutte le fragilità dei personaggi: Madalena per prima comprende che non può continuare a vivere nel ricordo del marito e lucidamente capisce quanto sia importante nella sua vita – e in quella della comunità – la ragazza appena arrivata, capace di modificare i ritmi delle loro giornate e allo stesso tempo del loro animo. Rita, a sua volta, arriva alla conclusione che ‘non si può fingere di appartenere a un altro posto che non sia il tuo’ e quindi programma la sua partenza. Alla Mostra del Cinema di Venezia, con Historias que so existem quando lembradas Julia Murat porta la poesia di uno sguardo attento e innocente sulle cose, con tante piccole immagini che emozionano anche perché tutto ha il taglio pulito ed essenziale del racconto documentario, mai tradito dall’autrice. E poi su tutto aleggia la Natura, oggetto della creazione e allo stesso tempo soggetto che tutto regola, pur rivelando al suo interno, anch’essa la sua dimensione fantastica, quasi ‘divina’ che la ispira.