Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti
È stato salutato con 5 candidature ai Golden Globe (una al film e quattro agli interpreti), il numero maggiore per un programma televisivo, Game Change, il film della HBO incentrato sulla campagna elettorale statunitense del 2008 e in particolare sulla scelta del partito Repubblicano di far concorrere alla Vice-Presidenza al fianco di John McCain, Sarah Palin, Governatore dell’Alaska. Il film-tv di Jay Roach esce in un anno nel quale anche il cinema e i premi americani hanno fra i maggiori concorrenti per il Miglior Film ai prossimi Oscar temi di natura tendenzialmente politica: si tratta di Operazione Zero Dark Thirty, regia di Kathryn Bigelow, sulle operazioni militari americane condotte nell’arco di dieci anni per la cattura di Osama Bin Laden, e Lincoln, epico biopic di Spielberg sul presidente più popolare della Storia americana. E certamente non è un caso: è stato anno di elezioni in America. Game Change ripete la già sperimentata operazione di Recount – pellicola del 2008 (l’anno delle elezioni del film in oggetto quest’anno) che si concentra sulle polemiche dei conteggi elettorali in Florida nel 2000 nella corsa alla Casa Bianca fra il futuro Presidente Bush e il militante ambientalista Al Gore – mostrando tutte le falle della scelta, molto improbabile (a voler essere cortesi), della Palin. Come nel precedente Recount ancora una volta il team della produzione è capitanata dal regista Jay Roach e dalla sceneggiatore Danny Strong, che utilizza il libro di Mark Halperin, analista politico di Time Magazine, e John Heilemann, attivo sul New Yorker, Wired e The Economist, Game Change: Obama and the Clintons, McCain and Palin, and the Race of a Lifetime, per analizzare il ruolo della Palin all’interno delle elezioni del 2008. E gli autori costruiscono un film intorno al “Palin Show” di quell’anno, il ritratto di una donna inadatta al ruolo per il quale era stata scelta e che affondò con il suo provincialismo e la sua ignoranza la già precaria posizione dei Repubblicani, molto impopolari dopo gli otto anni disastrosi dell’amministrazione Bush, ma scelta per dare una scossa alla vetusta campagna di McCain, poco adatto a scontrarsi con l’altra star mediatica democratica Obama. Questione di immagine principalmente. Se i democratici facevano concorrere il primo uomo afroamericano, oltre che dotato di carisma, e la popolarissima Hillary Clinton come sua vice, anche i repubblicani avevano bisogno di una scelta forte dal punto di vista iconografico: una donna e una outsider. Sarah Palin infatti era poco conosciuta se non all’interno del recinto dello Stato dell’Alaska, dove la donna era stata prima sindaco di una cittadina di 10.000 abitanti e poi Governatore dello Stato. Giovane, ultraconservatrice e antiabortista, 5 figli di cui uno con la Sindrome di Down. Insomma, una scelta perfetta per sedurre quella fascia di americani bigotti e dalla facile seduzione mediatica. Almeno sulla carta.
Strong fa della Palin una scolaretta ignorante che studia a maggio (a memoria per di più perché non capisce le nozioni) per lottare contro una bocciatura inevitabile, una donna che era candidata a ricoprire uno dei ruoli più importanti dello scenario politico internazionale senza alcuna nozione in fatto di politica estera, oltretutto una bugiarda patologica come si avrà modo di appurare. L’inquietante quanto ormai assimilato concetto è che la politica non è fatta di statisti, persone preparate a ricoprire il loro compito, ma di star, di persone che sanno stare sotto i riflettori, capaci di ammaliare le masse con slogan stantii e guardare bene in macchina. Questo Roach e Strong lo sanno sottolineare bene e con una certa decisione. La pellicola si approccia così in maniera oggettiva alla messa in scena basandosi su interviste, eventi e ricostruendo i momenti più salienti di quell’anno elettorale: le gaffe televisive, gli sproloqui, i fallimenti, ma anche la capacità di ammaliare, di stare sulla scena. Game Change rischia però seriamente di rimanere troppo ancorato al ritratto dei personaggi: oltre a quello della Palin, il film si concentra sul direttore della campagna elettorale Steve Schmidt, su un laconico John McCain, sul quale non si infierisce per nulla (anzi il ritratto è alquanto positivo), e su Nicolle Wallace, allora consulente alle comunicazioni che si occupò della preparazione della Palin e che ci aveva visto lungo sulla sua inadeguatezza. Infatti, Roach dirige con fare schematico senza dare troppa forma alla struttura narrativa, evitando di costruire un’estetica e basandosi esclusivamente sui caratteri; eppure, nonostante il taglio narrativo monocorde, ne esce fuori una riflessione interessante sulla politica, sulle scelta che questa compie in funzione dell’immagine e il suo rapporto con i media, dove non viene risparmiata neppure la figura di Obama, che attraverso lunghi raccordi di discorsi e immagini di repertorio resta anch’egli personaggio emblematico sotto molti aspetti. Per quanto di matrice fortemente democratica – l’intero ensemble ha sostenuto Obama– la pellicola sembra proseguire nell’equilibrio di costruire i suoi protagonisti, sia pure con spietata veridicità, con grande umanità. E Game Change va visto al limite anche solo per la straordinaria prova dei suoi interpreti, dove fra lo Steve Schmidt di Woody Harrelson, il calzante John McCain di Ed Harris, la Nicolle Wallace di Sarah Paulson, non poteva non spiccare la mimeticissima (e inquietante) prova di Julianne Moore, che non fa Sarah Palin, lo è. Basta vederla impassibile di fronte agli sketch di Tina Fey, che all’epoca nel Saturday Night Live furoreggiò nella presa in giro della colossale ignoranza dell’ormai ex-Governatore dell’Alaska. In attesa che nel 2016 Double Down: Game Change 2012 – il libro degli stessi autori del primo capitolo che raccontano stavolta della campagna elettorale di quest’anno fra Obama e Mitt Romney – diventi un film dellla HBO (il libro è stato già opzionato, la notizia è della scorsa settimana), si aprono le scommesse su chi scriverà e dirigerà la pellicola e soprattutto chi darà il volto a Obama e a Romney.