Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti
La produzione filmica inglese sulla famiglia reale britannica è ricca di produzioni di varia natura, che affrontano con piglio spesso troppo lusinghiero e reverenziale le loro vite pubbliche e private. Ultimo in ordine di tempo nelle nostre sale è quel pasticciaccio brutto e pop di W.E. – Edoardo e Wallis, diretto da una Madonna in stato di patina leccata, storia ormai fin troppo conosciuta dell’affaire fra il re e la donna americana e pluri-divorziata per la quale rinunciò al trono. Altrettanto noto al cinema, sempre recentemente, fu colui che succedette a Edoardo VIII, suo fratello cadetto Bertie, ovvero Giorgio VI, padre dell’attuale regnante Elisabetta II, attraverso la storia della sua balbuzie ne Il discorso del re, quattro Premi Oscar di vacua e inconsistente perfezione esteriore, che ritrae la famiglia reale come fosse una qualunque e tranquilla famigliola borghese dei sobborghi londinesi. Ma fra tutte queste storie di ribellione amorosa e riscatti verbali, che sembrano riempire il cuore dei britannici e far dimenticare loro tutti i soldi che spendono per il benessere degli attuali trogloditi Windsor, si nasconde un’altra storia, quella del fratello minore di questi due uomini, il piccolo Johnnie, affetto da epilessia e da una forma di autismo che compromise anche il suo linguaggio.
Il lost prince, che morì a soli 13 anni nel 1919 per un forte attacco epilettico, fu tenuto lontano dalla vita di corte e completamente isolato a causa della sua malattia. Dimenticato come una scarpa vecchia dalla famiglia, perduto dalla storia perché affetto da una malattia come l’epilessia, che all’epoca era un’onta, e affidato alle cure della governante Charlotte Bill, da tutti chiamata Lalla, in una remota fattoria nella proprietà di Sandringham. La donna fu l’unica a custodire il ricordo del piccolo fino alla sua morte avvenuta negli anni Sessanta alle soglie dei 90 anni. Parte da questa triste storia Stephen Poliakoff per realizzare per la BBC, The Lost Prince, una miniserie di tre ore che si focalizza sull’indifferenza e le convenzioni di una famiglia potente che ha messo al bando la sua stessa carne in nome della salvaguardia della propria immagine (una storia che si ripete anni più tardi con i Kennedy attraverso la figura di Rosemary, affetta da ritardo mentale). Il regista e sceneggiatore mette in evidenza la solitudine del bambino, le sue crisi epilettiche, la sua quotidianità, confrontando il ruolo della governante che lo accudì, lo allevò e lo amò come un figlio con quello di sua madre, la Queen Mary, intransigente e all’apparenza fredda nei confronti della sua condizione.
Poliakoff delinea con profonda sensibilità questo contrasto materno, non ponendo mai giudizi moralistici sui comportamenti dei personaggi, ma costruendo i loro caratteri attraverso le conseguenze delle loro scelte. L’autore affida ai fatti, mettendoli sempre in luce sullo sfondo di un humus storico e sociologico, l’analisi dei rigidi schemi dello stile di vita di quegli anni, che venivano anteposti agli stessi ruoli famigliari e ai sentimenti che da essi sarebbero dovuti nascere e crescere. Elemento, quello del sentimento privato, sempre presente nelle opere di Poliakoff (tutte, compresa questa, perlopiù inedite in Italia), che narra la grande trasformazione della Gran Bretagna sullo sfondo del Novecento, le sue evoluzioni e involuzioni, in un contrasto che delinea il passato e il futuro con estrema attenzione sociologica e onestà intellettuale (pensiamo a Caught on a Train, Shooting the Past, Friends & Crocodiles, Gideon’s Daughter, Capturing Mary).
In The Lost Prince l’interpretazione della Storia viene colta perfettamente nel passaggio dal regno di Edoardo VII – gli anni del massimo splendore dell’Imperialismo britannico, ancora influenzato dal rigore dell’epoca vittoriana – a quello di Giorgio V – l’epoca della Grande Guerra e dell’inizio inesorabile del declino della monarchia, all’ombra del tragico destino dei cugini Romanov in Russia. Con una regia sempre elegante e una confezione estremamente raffinata, ma senza calcare gli eccessi della patina, The Lost Prince ricostruisce un’epoca attraverso i pochi – ma fondamentali sul piano della Storia inglese – anni di vita di un bambino privilegiato che in realtà fu tutt’altro; partendo appunto dal racconto di un’infanzia, che richiama – per colori, epoca e sensibilità narrativa – quel Fanny & Alexander di bergmaniana memoria (non a caso nei panni della nonna, la regina Alessandra, compare Bibi Andersson). Un capolavoro di accademico rigore e di perfezione stilistica, ma senza la boria e la noia che accompagna questo tipo di operazioni. Nonché un’occasione per ammirare le maestranze britanniche e la classe della sua recitazione, capitanata da una Miranda Richardson, nelle vesti della Queen Mary, che merita qualsiasi lode.
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