Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti
Come ogni anno, la stagione televisiva americana – che si svolge dal 1° giugno al 31 maggio dell’anno successivo – viene celebrata dalle candidature, e la conseguente consegna, dei premi Emmy. Per questa 64esima edizione, la cui serata di premiazione – presentata da Jimmy Kimmel – si terrà il prossimo 23 settembre presso il Nokia Theatre di Los Angeles, sono in pole position con il maggior numero di candidature, ben diciassette, la quinta stagione di Mad Men (forse una delle più amate da critica e pubblico) e American Horror Story di Ryan Murphy e Brad Falchuk , di cui vi abbiamo ampiamente parlato nei mesi scorsi nel suo passaggio da serie aperta a serie antologica (e per questo non senza polemica per essere stata candidata nella categoria delle miniserie e dei film tv). Mad Men dal canto suo potrebbe battere ogni record vincendo il titolo di miglior serie drammatica per la quinta volta consecutiva. Seguono per numeri la splendida serie inglese in costume di Julian Fellowes, Downton Abbey (distribuita in USA dalla PBS), e la miniserie targata History Channel, di Kevin Reynolds, con Kevin Costner, Bill Paxton, Tom Berenger e Mare Winningham (tutti candidati), Hatfields & McCoys, con 16 candidature. A quota 15 Hemingway & Gellhorn, il criticato film per la tv HBO presentato fuori concorso a Cannes, con protagoniste le star Clive Owen e Nicole Kidman. Mentre 14 a testa sono le nomination assegnate a Modern Family, che monopolizza le categorie degli attori non protagonisti candidando tutto il cast (vai a capire chi sono i protagonisti se sono tutti comprimari!) e l’evergreen Saturday Night Live. 13 menzioni spettano a 30 Rock, a A Scandal in Belgravia, film antologico della serie inglese Sherlock (candidati a sorpresa Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, entrambi nel mondo di Peter Jackson di The Hobbit il prossimo inverno) e a Breaking Bad, verso il quale gli Emmy di stagione in stagione dimostrano un amore sempre maggiore.
Un anno, che nonostante il successo ottenuto da pubblico e critica, è stato faticoso per la serialità televisiva. Una stagione che verrà per lo più ricordata per essere quella in cui sono terminate (e meno male considerata la penosità dei suoi ultimi respiri) le grandi hit di questi ultimi anni come Desperate Housewives (due candidature, di cui una postuma a Kathryn Joosten, la grande Mrs. McCluskey che ha commosso milioni di spettatori nella puntata finale della serie affrontando un destino che di lì a poco per l’attrice sarebbe arrivato anche nella realtà) e Dr. House più che per la nascita di grandi show del futuro. Nonché l’anno di una sempre più labile definizione di serialità (e di furbate da parte dei network con serie cancellate per riuscire ad ottenere qualche briciola di candidatura dal premio, si vedano Missing con una brava Ashley Judd e il pessimo The River), come abbiamo già spiegato qualche mese fa. Sin dall’inizio siamo stati scettici su questa nuova stagione televisiva, che ha più o meno riconfermato il valore dei suoi grandi show, definito il successo di ascolti di prodotti sui quali non si sarebbe scommesso nulla, come quel Revenge della ABC, che ha totalizzato nell’arco della sua prima stagione una media di spettatori oscillante fra i sette e gli otto milioni, che però resta assente dalla gara dell’Oscar televisivo. Così come i vincitori dei Golden Globe, Kelsey Grammer per Boss, inspiegabilmente dimenticato nonostante la regia dell’episodio pilota di Gus Van Sant, e Laura Dern per Enlightened. È ovvio che qualcuno resta sempre indietro nelle gare, considerato poi che l’Academy è composta da giurati con un gusto gerontofilo per gli interpreti e un’ossessione per serie, specialmente nel versante comico, che vengono candidate di anno in anno fino alla loro cancellazione. E fortunatamente quest’anno tali ossessioni sono sembrate un po’ più soft (per lo meno le categorie dei guest actor ed actress non erano composte solo da settanta/ottantenni come accadeva qualche anno fa), concedendo così alla giovinetta 26enne Lena Dunham ben tre candidature (regia, sceneggiatura e recitazione) per la nuova commedia della HBO, Girls (New York e il sesso per ragazze meno patinate di Carrie & Co.). Ciononostante, la passione autoreferenziale per 30 Rock, per tutti coloro che sono passati dal Saturday Night Live e la totale assenza, ancora, di lavori come Community, Happy Endings, Sons of Anarchy non sembrano avere limiti. In attesa già dei pronostici del premio per il 2013 attraverso lavori attesissimi come The Newsroom, nuova fatica di Aaron Sorkin sul mondo dei media e in corso di trasmissione negli USA su HBO; Parade’s End, miniserie evento dalla tetralogia di Ford Madox Ford adattata niente meno che da Tom Stoppard; 666 Park Avenue, serie horror con venature soap della ABC; Nashville, il mondo odierno della musica country, etc., etc.. In attesa di vedere quanto anche il prossimo anno verrà ignorato Glee, che con tre sole candidature quest’anno avrebbe meritato qualche chance in più. Ma probabilmente i sogni di adolescenti nerd che cantano e ballano divinamente e “trovano l’amore in un posto senza speranza”, per parafrasare una canzone di Rihanna rieseguita nella serie, non colpiscono una giuria molto più occupata a seguire uno speciale per i 90 anni di Betty White (Betty White’s 90th Birthday: A Tribute to America’s Golden Girl), un’altra ossessione (inspiegabile) tutta americana.
Con questo articolo Flussi seriali vi augura buone vacanze e vi dà appuntamento a settembre.