Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti
Al cinema e in televisione è stata interpretata da dive dalla bellezza intensa e malinconica come Vivien Leigh, Tatyana Samojlova, Sophie Marceau, Lea Massari, Jacqueline Bisset, Claire Bloom, Helen McCrory, Nicola Pagett, etc., ma il volto di Anna Karenina resterà sempre cesellato in quello di Greta Garbo, che ne vestì i panni per ben due volte, la prima nel 1927 in una versione muta diretta da Edmund Goulding, la seconda e più popolare nel film sonoro del 1935 per la regia di Clarence Brown. Anna Karenina, il romanzo culto di Lev Tolstoj insieme a Guerra e pace è un patrimonio talmente universale da essere stato adattato in molte lingue e Paesi differenti da quella Russia dove ha trovato i natali, una formula produttiva spesso presa in considerazione, soprattutto in televisione, per permettere di rendere ancora più popolari opere e autori immortali. In questi giorni, ad esempio, Diva Universal (canale del pacchetto Sky), ripropone una versione inglese del 2000 prodotta dalla BBC – insieme con la PBS statunitense per il contenitore Masterpiece Theatre – diretta da David Blair, sceneggiata da Allan Cubitt (suo anche lo script di un episodio di Prime Suspect) e interpretata da Helen McCrory, Kevin McKidd, Douglas Henshall, Mark Strong e Stephen Dillane.
Un’operazione estremamente classica dal punto di vista narrativo, che segue i punti fondamentali del testo nelle sue quattro ore di girato, ma molto più interessante da quello registico. Perché la direzione di Blair, inizialmente molto statica diviene, via via che i turbamenti interiori e il senso di colpa della protagonista si accentuano, sempre più movimentata e nevrotica attraverso un forte uso di macchina a mano, scavallamenti e soffocanti primi piani. Un’idea piuttosto inusuale per la direzione di un classico realizzato per la tv, che generalmente si fonda su di una regia che si muove correttamente per dirigere il traffico degli interpreti (ad esempio un’operazione simile, del medesimo anno e sempre della BBC, come Madame Bovary, dal romanzo di Gustave Flaubert, è resa al contrario da Tim Fywell attraverso connotati wyleriani di cristallizzata immobilità). In tal caso, questa regia dai toni nevrotici va a scontrarsi con una fattura fotografica e scenografica molto levigata, ovviamente sontuosa, che sottolinea così la nota antitesi fra la società russa dell’epoca e l’atto di “ribellione” di Anna, che tradisce apertamente il marito con il conte Vronskij. Ma naturalmente il testo di Tolstoj non è solamente questo e i suoi temi universali quali la religione, la politica, il matrimonio, il progresso, il sesso lo rendono sempre eternamente attuale, tanto da venir riadattato in tutte le forme possibili da sempre (la prima versione cinematografica a cui possiamo risalire è del 1910) sottolineando magari i temi più cari al periodo storico del periodo e per il pubblico al quale è diretto. Pensiamo, ad esempio, alle due versioni girate in pieni anni Settanta: quella del 1974 (italiana diretta da Sandro Bolchi, con Lea Massari) e del 1977 (sempre britannica e BBC diretta da Basil Coleman, con Nicola Pagett), che mai come in passato si soffermano sull’aspetto politico e sociale dei contadini, sulla decadenza della vita rurale, sul personaggio di Levin, il più lucido nel leggere la decadenza delle classi privilegiate nella Russia zarista di esattamente un secolo prima. Dovremo invece aspettare l’autunno per assistere al ritorno in sala del grande romanzo russo per il quale è stato scomodato persino Tom Stoppard per la sceneggiatura. Ma a immaginare Keira Knightley nelle vesti dell’eroina non può non sorgere qualche onesto dubbio per varie e ovvie ragioni. Chi vivrà vedrà. Nel frattempo cerchiamo di arrivare preparati facendo i compiti.