Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane a cura di Erminio Fischetti
Masterpiece Theatre compie 40 anni. E per festeggiare il traguardo dell’ormai classico contenitore dei period drama (a cui ha fatto seguito una sezione contemporanea e una di mystery), co-prodotti con l’Inghilterra della BBC e della ITV, la PBS ha deciso bene di realizzare una nuova miniserie della hit degli anni Settanta Upstairs, Downstairs (in Italia messa in onda dalla Rai col titolo Su e giù per le scale), che viene trasmessa proprio in queste settimane sulla rete indipendente statunitense. Così, il 165 di Eaton Place a Londra, che aveva ispirato Julian Fellowes per Gosford Park, lo stesso che ha scritto la serie Downton Abbey (sic!), si rianima con nuovi padroni di casa, nuovi servitori e segna invece il ritorno della cameriera Rose Buck ormai anziana in veste di governante. È passato qualche anno dalla vecchia ambientazione edoardiana e georgiana (1903-1930) e la nuova vicenda viene collocata nel 1936, precisamente con la salita al trono e la successiva abdicazione di Edward VIII.
La serie in origine ideata dalle attrici Eileen Atkins e Jean Marsh (stavolta esclusivamente nelle vesti di interpreti), concentrandosi nuovamente sulle dinamiche intercorse all’interno della casa tra servitori e datori di lavoro, resta fedele al suo concetto di base nella nuova trasposizione dell’autrice di Cranford, Heidi Thomas. In realtà, però, la costruzione narrativa è quella tipica degli ultimi anni dove i personaggi non vengono giudicati, ma solo raccontati nei loro ruoli dipanando storie che acquisiscono – rispetto all’originale e ai format di quel tempo – una funzione più sociologica che storicistica, più ideologica che moralista. Se la servitù veterana si anima con le proprie passioni e sofferenze, ma di fronte ai padroni rispetta quell’impenetrabilità professionale tipica dell’intransigenza inglese (come quella espressa da Anthony Hopkins nell’ivoriano Quel che resta del giorno), i più giovani sono dotati di una sola identità dentro e fuori l’uniforme. Allo stesso tempo anche nei piani superiori dietro quell’aura ornamentale qualcosa sta cedendo. Quello che viene fuori dal ritratto di casa Holland è soprattutto la decadenza di una classe nobiliare, essa stessa stanca dei suoi ordini sociali, e una classe lavoratrice che sta prendendo coscienza di sé, del proprio corpo e della propria mente, che dimostrerà la sua supremazia operosa nel corso dell’imminente conflitto mondiale. Relazioni, sentimenti, segreti inconfessati e inconfessabili in un anno che fu un crocevia fra il passato e il futuro di un’Inghilterra provata dall’abdicazione di un re che scelse l’amore (o per meglio dire la libertà) agli obblighi di corte, dalla paura che il nazionalsocialismo tedesco e italiano contagiasse il popolo attraverso la figura di Mosley e il sostegno del Daily Mail e del Daily Mirror, la fine dell’impero indiano. Con tutti i suoi significati reconditi e non.
Tutto lascia presagire il cambiamento dei tempi, a cominciare proprio dalla diminuzione dello stuolo di maggiordomi, governanti e camerieri che in passato avevano invaso le stanze della dimora dei Bellamy, mentre ora con gli Holland, nobili “inferiori”, baronetti, sono ridotti all’indispensabile (si fa per dire!). Sempre con la classe di una buona recitazione e una scrittura senza dubbio più circolare e aderente alla realtà e meno bozzettistica de Il discorso del re, Upstairs Downstairs racconta nel medesimo anno che il film di Hooper ha conquistato inspiegabilmente quattro premi Oscar quello stesso 1936. E lo fa senza dubbio meglio, perché in questo caso dietro tutta la laccatura della patina britannica si nasconde anche un’anima, nonostante alcuni personaggi e sottostorie rimaste in superficie, alcune ingenuità da romanzo d’appendice e qualche sbavatura qua e là. Ma c’è sempre tempo per la seconda stagione annunciata per il 2012. La casa degli Holland diviene un microcosmo sociale e lo specchio del mutamento di un paese del quale fanno parte fascisti, ebrei, indiani, progressisti, bigotti, giovani e meno giovani che si mescolano fra i piani superiori e inferiori, le cui scale che li separano non sono più così ripide. Come quelle odierne percorse fra chi fa cinema e tv (quella di qualità).
Creatore: Heidi Thomas
Cast: Keeley Hawes, Ed Stoppard, Jean Marsh, Eileen Atkins, Anne Reid, Art Malik, Claire Foy, Adrian Scarborough, Neil Jackson, Ellie Kendrick
Produzione: UK/USA 2010
Durata: 180’ circa (3 episodi)
Distribuzione originale: BBC (26/27/28 dicembre 2010), PBS (10/17/24 aprile 2011)