Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane
Quel che diventa il cinema nella televisione e quel che diventa la televisione nel cinema
(Rubrica a cura di Erminio Fischetti)
11/11/10 – Ritorniamo a parlare di serie tv, dopo due settimane di assenza, a causa di un’overdose cinematografica che Radiocinema vi ha regalato della quinta edizione del 5° Festival Internazionale del Film di Roma. E lo facciamo proprio riagganciandoci al festival per riflettere brevemente sulla commistione che ultimamente si sta verificando sempre di più fra cinema e televisione, concetto ormai assodato da qualche anno, ma che ora sembra prendere piede nelle blasonate e modaiole cornici festivaliere. Infatti, per la prima volta nella kermesse romana dei giorni scorsi sono approdati ben tre prodotti di natura televisiva nelle sezioni “Eventi speciali” e nel fuori concorso, che rappresentano tre diversi aspetti, nonché perfetti esempi, di transizione fra i due mezzi. La presentazione di più prodotti di tale genere non rende più il fenomeno, come in altre precedenti edizioni festivaliere, un caso isolato, ma diventa precisa evoluzione della macchina audiovisiva e di un futuro che si prepara definitivamente, e prima di quanto si possa credere, al passaggio non solo di un cinema che diventa televisione, ma anche di una televisione che diventa cinema, fruibile nel mezzo collettivo del grande schermo.
Il primo e più atteso fra questi prodotti è sicuramente l’episodio pilota di settantadue minuti diretto da Martin Scorsese della serie targata HBO, Boardwalk Empire, che vede il maestro del cinema americano impegnato nella rielaborazione della sua poetica filmica in questo breve saggio di auto-citazionismo compiaciuto, che nella sua struttura a episodi rappresenta e non tradisce, nel suo schematismo, il concetto di serialità; in questo caso è più una questione di estetica che di struttura concettuale a cambiare. La miniserie francese del canale Artè di cinque ore, Carlos di Olivier Assayas è forse l’esempio più interessante di rielaborazione meta-testuale perché rimontata e tagliata per uscire in sala in 165 minuti; in questo caso Assayas compie un’operazione contraria e cioè quella di presentare un prodotto originariamente concepito e realizzato per il piccolo schermo, come da sempre fanno gli inglesi con alcuni dei film della BBC. Carlos, però, viene massacrato al montaggio per essere adattato al tempo della fruizione cinematografica e non televisiva, più “espansa” poiché suddivisa nel tempo. Cosa che sviluppa un concetto interessante: paradossalmente nei suoi tagli per la sala il lavoro del regista francese diventa “televisivo”, monco e lasciando, così, al cinema la facoltà di agire meglio in televisione. L’ultimo esempio è quello di Gianluca Maria Tavarelli, Le cose che restano, un prodotto televisivo tipicamente Rai, che rimane più fedele, fra questi, al mezzo di provenienza per il quale è stato realizzato. Concepito dagli sceneggiatori Rulli e Petraglia come ambiziosa terza parte, dopo La vita che verrà di Pasquale Pozzesseere e La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana, del racconto dell’Italia dal dopoguerra a oggi. Ed è proprio il film di Giordana che il progetto di Tavarelli vuole emulare: ovvero essere realizzato per la tv, avere comunque vita in tale mezzo, ma concedergli per breve tempo quel respiro epico che solo la proiezione sul grande schermo può concedergli. Concettualmente, infatti, la procedura è stata simile a quella de La meglio gioventù – concepito sempre come miniserie Rai di sei ore, poi fu presentato a Cannes dove vinse l’Un Certain Regard, uscito integralmente e brevemente al cinema diviso in due parti – ma la struttura narrativa vuole imitare le miniserie classiche americane, storie di personaggi, epica famigliare sullo sfondo della Storia politica e sociale di un Paese. Che televisione e cinema oramai si influenzino l’un l’altro è da tempo un dato di fatto, ma quel che appare interessante ora è la sua funzionalità nel mondo degli eventi, le cornici e gli appuntamenti annuali di cui si nutre il cinema a rendere partecipi dei prodotti del piccolo schermo, certo in questo caso sempre legati in qualche modo alla struttura filmica e comunque di autori appartenenti a quel mezzo.