Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane
Sex and the city
(Rubrica a cura di Erminio Fischetti)
03/06/10 – In questi giorni possiamo ammirare nelle sale il secondo capitolo cinematografico di Sex and the City, che racconta la storie delle ragazze di New York più amate e ammirate di tutti i tempi. Appare, però, doveroso andare a rispolverare il punto da dove è nato tutto. Lungo è stato il tragitto di Carrie e delle sue amiche Samantha, Miranda e Charlotte. La serie, trasmessa per la prima volta nell’estate del 1998 da HBO come una scommessa ardita e con la probabilità che sarebbe stata subito cancellata, si rivelò col tempo uno dei più grandi successi della rete. Troppo coraggiosa, troppo disinibita: la tv che racconta di quattro giovani donne che parlano apertamente di sesso e di uomini e ragionano come tali, non disdegnando neppure il vasto vocabolario dell’argomento, senza perdere la loro femminilità, la loro passione per il glamour e l’eleganza, tutti fattori poi fusi nell’essenza della serie, man mano diventata sempre più patinata. Ma quello su cui ci si vuole concentrare è senza alcun dubbio l’origine e il suo stile inimitabile. Carrie, giornalista free-lance con rubrica settimanale ci racconta le peripezie amorose e cittadine sue e delle sue amiche senza rinunciare a indossare le sue Manolo e preferendo il suo compassato Mr. Big, che la maltratta, al rude Aidan dal cuore d’oro. Samantha può parlare apertamente a colazione di “cazzi”, “pompini” e del sapore che ha lo sperma del suo ultimo boy-toy prima di andare al lavoro perfettamente coordinata con la sua preziosa Birkin, nella quale i preservativi non mancano mai. Miranda può inseguire il successo come avvocato ed essere “ruvida” senza dimenticare di scegliere con gusto il tailleur da abbinare alla camicetta per poi passare dal bar come un camionista per rimorchiare il barista e tenerselo a casa. Charlotte può sognare il suo abito da sposa e aspettare il suo principe azzurro senza per questo perdere di vista la sua visione pragmatica e le sue “necessità”. E se il bel principe azzurro non fa i suoi doveri coniugali, non è forse meglio un insaziabile rospo dalla testa lucente e dai modi un po’ bruschi? Sono donne di oggi, e di questo ne vanno fiere, e noi maschietti con loro!
Darren Star che già proveniva dal tono rivoluzionario di Beverly Hills – sedicenni che fanno sesso e sembrano adulti nella Los Angeles dei primi anni Novanta – è andato sull’altra costa per diventare adulto e parlare di donne nella Grande Mela basandosi su una raccolta di articoli di Candace Bushnell pubblicati in origine sul “New York Observer” e poi in un libro. Ma la serie, a differenza del recente film, non rappresenta solo un fenomeno di costume quanto una lettura del mondo contemporaneo e artistico sotto parecchie prospettive: il mondo dell’arte, del cinema, del teatro è un baluardo totale per la Grande Mela e con essa il suo aspetto fashion che viene descritto e osservato ancor più e ancor meglio delle stesse protagoniste che ne sono avvolte, avvinte; il vero amore delle protagoniste è la città, una dichiarazione che richiama sicuramente il cinema di Woody Allen e in particolare la scena iniziale del suo capolavoro Manhattan. Infatti, come il protagonista di quel film, Carrie descrive in voice-over la città e i suoi abitanti, con le loro idiosincrasie, manie e desideri. Ma è lo stesso Star a dichiarare di essersi più volte ispirato al maestro.
Particolari che si notano più o meno prevedibilmente e che fluiscono in particolar modo nel vago sapore di indipendenza anti-hollywoodiana a cui la serie, nelle prime due stagioni vuole ammiccare. Sembra un paradosso, che il glamour e lo stile vogliano essere lontani dalla mecca del cinema, ma considerata la pacchianeria con la quale le attrici si presentano ai premi delle ultime stagioni è un bene! Indipendenza che comincia dalla scelta di registe che lo hanno diretto (pensiamo a Susan Seidelman, Alison Mclean e soprattutto a Nicole Holofcener e Matthew Harrison) o la scelta di uno stile mockumentary nel quale in ogni episodio gli sceneggiatori “giocavano” con false interviste a persone prese dalla “strada” per descrivere la sessualità e i rapporti all’interno di una città fatta di single di tutte le razze, le età e le identità. La serie era forte, era cool, ma il fenomeno mediatico ha trasformato un prodotto indipendente, originale e raffinato, dove le sue protagoniste erano certamente “fiche” e moderne all’interno di una società nella quale erano ragazze come tante in quel contesto in un’estremizzazione del lusso. Da realtà Sex and the City è diventato sogno, desiderio, dai monolocali si è passati agli attici di Park Avenue, col tempo le ragazze sono cresciute insieme al proprio portafogli, il potere invece che indurirle le ha “rammollite” e sono diventate davvero come tutte le altre: volevano anche loro il matrimonio e il principe azzurro (e qualcuna anche dei figli), Samantha esclusa ovviamente, e grazie a Dio! Ma non per questo abbiamo smesso di amarle tutti: donne, uomini, casalinghe, donne in carriera, eterosessuali, omosessuali, uomini d’affari, bianchi, neri …
“Sex and the City”
Titolo originale: id.;
Creatori: Darren Star;
Interpreti: Sarah Jessica Parker, Kim Cattrall, Kristin Davis, Cynthia Nixon, Chris Noth, John Corbett, Willie Garson, David Eigenberg, Kyle McLachlan, Evan Handler;
Produzione: USA, 1998-2004;
Durata: 30’ circa (94 episodi suddivisi in 6 stagioni);
Distribuzione originale: dal 6 giugno 1998 al 22 febbraio 2004 su HBO;
Distribuzione italiana: dal 10 marzo 2000 al dicembre 2004 su TMC, poi diventata La7.
Disponibile in dvd.