Flussi seriali – Percorsi e influenze odierne e vintage delle serie americane
La misoginia di Charlie a braccetto con il post-femminismo di Christine
(Rubrica a cura di Erminio Fischetti)
15/04/10 – La complicata vita di Christine e Due uomini e mezzo. Brillanti, fresche e divertenti situation comedy che si apprezzano per il loro valore distensivo, ma portano anche a una riflessione sui valori e i rapporti della famiglia nella società contemporanea di questo confuso inizio secolo. Ma dove Due uomini e mezzo è dissacrante e palesemente critico nei confronti di persone egoiste e vagamente distruttive, la serie ideata da Kari Lizer, La complicata vita di Christine, e’ più indulgente verso i suoi personaggi. Non a caso negli Stati Uniti, il primo e’ stato il programma comico più seguito degli ultimi anni e ha ottenuto piu’ riconoscimenti ai vari premi del settore (specie agli Emmy dove le sitcom dei network ricevono piu’ attenzione rispetto, ad esempio, ai Golden Globe, che predilige prodotti con più impatto mediatico), mentre la seconda viene apprezzata particolarmente solo per la sua protagonista, una ritrovata Julia Louis-Dreyfus (ve la ricordate al fianco di Jerry Seinfeld, Jason Alexander e Michael Richards nell’eccezionale cult della NBC degli anni Novanta, ma da noi dimenticato, Seinfeld?).
Le due opere della CBS analizzano i valori e gli elementi cangianti delle famiglie allargate e quelle nate secondo i parametri della piccola borghesia convenzionale (zii, nipoti, divorzi consensuali o meno, nuove fidanzate ecc.) in lavori televisivi visti proprio dalla medesima tipologia di pubblico. La critica sociale è sempre mordace, in questi casi, mai dettata dal caso. In alcuni momenti ironizza in modo diretto sulle caratteristiche dei suoi protagonisti, e in modo velatamente audace su alcune tematiche molto serie, come certi atteggiamenti razziali del politicamente corretto o lo stile di vita degli ambienti californiani. Però, se ne La complicata vita di Christine tutto si mantiene sulla superficie della simpatia e della piacevole distrazione dei suoi venti minuti di durata canonici, in Due uomini e mezzo il contenuto dissacrante diventa sfacciatamente auto-ironico e scava nella profondita’ delle spiagge di Malibu risultando sicuramente più sincero e riuscito. La protagonista del primo caso, Christine Campbell, appare come l’esatta opposizione del protagonista del secondo, Charlie Harper. Lei progressista, democratica e attenta ai propri diritti e a quelli degli altri, lui parziale, superficiale e incurante di tutto e tutti. Eppure sono due faccie della stessa medaglia attraverso le loro piccole meschinità, la loro pigrizia e i guai nei quali si cacciano. Inoltre, sia Christine che Charlie ospitano il fratello minore in casa propria, quello di lei perché nullafacente, quello di lui, un chiropratico risucchiato dagli alimenti dell’estenuante ex-moglie, perché non può permettersi un’abitazione personale. Christine, dopo il divorzio amichevole dall’onnipresente marito Richard (lui frequenta una donna molto più’ giovane che si chiama sempre Christine e da qui il giochetto di parole del titolo originale “The New Adventures of Old Christine”) non riesce a trovare una relazione stabile e la serie, infatti, pone l’accento sui cambiamenti della vita da divorziata di una donna quarantenne con figlio a carico che deve voltare pagina.
Ma lei vuole fare sempre la cosa giusta e finisce per creare caos e ritrovarsi in situazioni a dir poco imbarazzanti, mentre Charlie, al contrario, è consapevole dei suoi egoisti limiti, della sua indolenza, ama l’alcol e le belle donne, cambiandole con la frequenza con cui si consumano i fazzoletti di carta, ma alla fine, ogni tanto, finisce per fare la cosa giusta, specie nei confronti dell’imbranato fratello Alan e del figlio di quest’ultimo Jake. Charlie Sheen, oltre ad avere lo stesso nome del suo personaggio, ne condivide il ritratto dell’immaginario collettivo e impagabili sono i duetti tra lui e il “fratello” Jon Cryer (Alan), dai quali viene fuori un’intelligente evoluzione delle ossessioni e dei comportamenti di due persone che hanno reagito differentemente ad anni di sevizie psicologiche fatte dalla dominante e castrante genitrice (eccellente la scelta dell’attrice Holland Taylor, che sostituì all’ultimo momento Blythe Danner nell’episodio pilota). Ed Evelyn, la madre, non è certo l’unica donna a uscire con le ossa rotte da Due uomini e mezzo, e se si considera Bertha, la domestica, o Judith, l’ex-moglie di Alan, o Rose, la donna ossessionata da Charlie, ne viene fuori il ritratto spietato di una società fatta di donne possessive e ossessive e uomini perdenti, dove la misoginia di Charlie, pur essendo terribilmente irritante, acquisisce un fattore tutto personale e, forse, comprensibile. D’altro canto, viene spontaneo chiedersi se Christine sia una post-femminista o una femminista ritrovata in un’orbita nuova, mentre se Charlie sia un cavernicolo misogino che non ha mai conosciuto l’evoluzione o la diretta conseguenza di donne dominanti. Due opere da leggere dalla stessa angolazione o da prospettive diverse (questo sta al singolo spettatore deciderlo), sulle quali si potrebbero aprire dibattiti sociologici vecchi quanto il mondo.