La canzoni di David Bowie sono film, almeno quelle di tutta la prima parte della sua vita e quindi è facile che in molti siano tentati dall’idea di girare un biopic classico sull’artista inglese, usando le sue liriche per guidare la narrazione. Gabriel Range decide invece con Stardust – presentato nella sezione ufficiale della Festa del cinema di Roma – di percorrere un’altra via e scrivere con Christopher Bell un film narrativo, non musicale, ambientato nel 1971, anno cruciale nella vita di Bowie.
David, interpretato da Jonny Flynn (musicista e attore già apprezzato in Emma di Autumn de Wilde) credeva maturo il tempo per affrontare i palcoscenici americani ma, una volta arrivato, gli vengono negate tutte le esibizioni pubbliche perchè sprovvisto di visto. Dovrà accontentarsi di piccoli show in pub e feste private. Così il suo viaggio negli Stati Uniti, a soli 24 anni, diventa l’occasione per un viaggio identitario fondamentale per capire quale direzione far prendere alla sua vita come uomo e come artista. Soprattutto perchè gli era necessario confrontarsi con lo spettro di un passato che continuavano a far molta paura.
Cresciuto dal talentuoso fratellastro Terry, David pensava che la schizofrenia fosse ereditaria (ne soffrivano anche delle zie e la nonna) e quindi che presto si sarebbero aperte anche per lui le porte del maniconio.
Drammaturgicamente perfetto, il film sa equilibrare le inquadrature tra primi piani e campi medi (pochissimi i campi lunghi tipicamente usati nei road movie) per mettere in relazione prima David con i suoi demoni e poi con Ron (Marc Maron), addetto stampa della Mercury Records che lo porterà in giro per gli States, diventando una sorta di suo specchio. Riuscirà con Ron a non vergognarsi delle sue vulnerabilità e comprendere molte cose. La parte centrale del film cambia ritmo quando Bowie cerca di ridefinirsi e vaga tra i suoi demoni diventando una figura ancora più sfaccettata e complessa.
Gabriel Range – gallese, apprezzato regista di documentari e di film di finzione, arrivato al successo mondiale grazie a Death of a President (vincitore di un Emmy nel 2007) – confessa di essere sempre stato affascinano dalla figura iconica di uno dei più grandi ed eclettici musicisti della storia della musica ma di aver, con questo film, voluto raccontare un ragazzo molto vulnerabile capace di superare tante sfide, non ultima quella dell’insuccesso mostrandolo in diversi pub dove, durante le sue esibizioni, il pubblico era intento a ridere e a parlare, non ad ascoltarlo.
Durante quel viaggio nascerà il nuovo David e, come racconta l’immagine che accompagna queste poche righe e l’ultima sequenza del film, il ragazzo biondo che amava vestirsi con abiti femminili si trasformerà in Ziggy Stardust dai capelli rosso fuoco, più teatrale e più rock&roll che mai.
giovanna barreca