(Dal nostro inviato Alessandro Aniballi)
04/05/09 – Come forse poteva essere ampiamente prevedibile, l`undicesima edizione del Far East Film è stata vinta dal già premio Oscar Departures del giapponese Yojiro Takita. Ma in un festival come quello di Udine dove, in ossequio alla sua natura pop e popolare, è il pubblico a scegliere il vincitore, importa poco (quale eventuale facilitazione di una distribuzione in sala, ad esempio) ragionare sulle motivazioni e le conseguenze di una preferenza piuttosto che di un`altra.
Quel che interessa è riflettere, in primis, sullo stato di salute delle diverse cinematografie dell`Estremo Oriente o, meglio, su quel che ne traspare stando alla programmazione del Far East. Hong Kong, per esempio, presente con sette film (più l`omaggio dedicato ad Ann Hui), ha dimostrato che, al di là di una crisi ormai endemica, può vantare tuttora una invidiabile schiera di talenti. Lo conferma anche la qualità dell`ultimo hongkonghese in programma, quel True Women for Sale di Herman Yau che mette in scena un dramma corale fra prostitute e mamme della Cina continentale, ritrovatesi – chi per un motivo chi per un altro – a vivere e sopravvivere nell`isola del Porto Profumato. All`interno di una narrazione realistica e frammentaria, lo sguardo di Yau è sia impietoso che “umanissimo”, per una aderenza commovente al destino dei suoi personaggi che lo apparenta naturalmente al cinema da dramma sociale della stessa Ann Hui: un genere vitale oltre che raro nel panorama di tutta la cinematografia asiatica. Per la Sud Corea, invece, non possiamo che confermare quanto già scritto nei giorni scorsi, con l`eccezione notevole di My Dear Enemy di Lee Yoon-ki, amara e delicata commedia sull`amor perduto, adatta sia a essere distribuita in sala (se non fosse che da noi i film orientali non escono più) sia probabilmente a essere rigirata da un cineasta indipendente americano, vista l`universalità delle tematiche affrontate.
Mentre Singapore, Taiwan (un titolo a testa) e le Filippine (tre titoli) stavolta hanno avuto un ruolo estremamente marginale, la Thailandia e l`Indonesia si presentavano da protagoniste e, in parte, hanno mantenuto la promessa. Il cinema thai però, al di là dell`innegabile dominanza nelle arti marziali, ha deluso per gli horror presentati, discreti ma neppure lontanamente paragonabili al capolavoro dello scorso anno, Sick Nurses. L`impressione è che manchi ancora qualcosa per eguagliare la complessità , la varietà e l`alta competenza di altre cinematografie come l`hongkonghese e la giapponese. L`Indonesia invece è un territorio ancora da scoprire: con i suoi sei titoli in programmazione, ha destato curiosità , soprattutto per l`eclettismo dei generi affrontati, ma nessun film ha davvero convinto. E’ vero, le competenze tecniche vi sono tutte e sono anche elevatissime, ma ancora non riesce a emergere una consapevolezza personale del mezzo cinematografico, una via “indonesiana” insomma. La Cina ha nel complesso deluso: l`edonismo che caratterizza l`ultimissima congiuntura economica e mediatica del Paese di Mezzo sembra essersi incarnato in una commedia di costume che a tratti può ricordare i nostri “telefoni bianchi”. Eppure va quantomeno segnalata l`eccezione di un cineasta come Cao Baoping, presente qui a Udine con due titoli: The Equation of Love and Death, di cui abbiamo già parlato, e Trouble Makers, film di chiusura del festival. Quest`ultimo è un feroce ritratto di personaggi codardi e violenti in un villaggio in cui viene inscenata una ferina lotta per il potere. Per assecondare l`aspetto terragno e animalesco della vicenda, Cao gira in modo inusuale, con inquadrature sghembe e “nervose” e lavora sull`ellissi interna alle varie sequenze, grazie a un montaggio sorprendente. Ne emerge una visione radicalmente pessimistica della vita sociale che è sia una simbologica rappresentazione della Rivoluzione Culturale (ci sono dei fratelli che non a caso vengono appellati come la “banda dei quattro”) sia una realistica messa in scena della corruzione nel mondo contadino della Cina contemporanea.
Ma l`evento più atteso di tutto il festival era senza dubbio la proiezione di Yatterman, l`ultimo film di Takashi Miike, tratto dall`omonimo anime degli anni Settanta celebre anche in Italia. La pellicola di Miike è un grande giocattolone pieno di effetti speciali, in cui la storia propriamente detta resta in secondo piano. Del resto, da La grande guerra degli Yokai in poi, Miike ha deciso di privilegiare le grandi avventure produttive, rimettendoci però qualcosa sul piano della sua eccezionale personalità autoriale. Anche in Yatterman il regista giapponese si adegua alle necessità commerciali e costruisce un prodotto godibile e spettacolare, che però, soprassedendo su drammi e conflitti, resta troppo illustrativo. In tal senso abbiamo preferito l`ultima parte, in cui il gran cattivo mostra la sua doppia natura e Miike può permettersi di dare sfogo, sia pure per pochi minuti, alla sua inimitabile personalità dark. E il cinema giapponese ha trionfato ancora una volta qui al Far East, sia come detto per il premio del pubblico che bissa quello dello scorso anno, andato a Gachi Boy – Wrestling With a Memory, sia per la qualità complessiva delle opere presentate che erano ben tredici. In particolare, con Fish Story e Love Exposure, il Sol Levante può fregiarsi dei due migliori titoli del festival, confermando la salute del suo cinema.
L`undicesima edizione del Far East chiude dunque lasciandoci un nutrito numero di buoni film e facendoci quasi dimenticare che, a parte Cao Baoping, non vi sono state autentiche rivelazioni, visto che lo stesso Love Exposure era già passato di recente al festival di Berlino. I partecipanti – accreditati e pubblico – però sono visibilmente aumentati (anche grazie alle due grandi proiezioni-evento di Departures e Yatterman, acquisiti alla causa con ottima mossa strategica) e la stessa città di Udine sembra finalmente appoggiare in pieno questo evento, facendo ben sperare per il futuro.