Falso specchio – Finalmente documentario
(Rubrica a cura di Silvio Grasselli)
29/09/09 – A metà strada tra la Mostra veneziana e il Festival capitolino torniamo, ai primi giorni d`autunno, a scrivere di documentario. Parola d`ordine da carbonari fino a pochi anni fa, ormai il cinema documentario sembra aver superato molti degli ostacoli e dei tabù che ne avevano deciso il lungo oblio, almeno nel nostro paese. Il segnale più evidente (e meno positivo di tutti) di questo nuovo corso è la mutazione d`una certa tendenza del cinema europeo in vera e propria moda. Per chi segue il trend, un film degno d`interesse, davvero attuale, non può rinunciare perlomeno a un`ispirazione documentaristica: se il cinema che si premia è ancora in buona parte finzionale e narrativo, quello di cui si parla e si scrive con toni più entusiastici, quello che, alla comunità dei critici e, di rimbalzo, a quella delle istituzioni, sembra più necessario è sempre, o quasi sempre, quello documentario. In attesa di passare in rassegna e di verificare le molte promesse del Festival del Film di Roma, diamo una rapida occhiata al gran numero di sguardi documentari incrociati al Lido.
I maestri. Venezia 66 ha ospitato tra gli altri (molti) film di non fiction, gli ultimi lungometraggi di Aleksadr Sokurov e Frederick Wiseman, rispettivamente “Reading book of Blockade” e “La danse – Le ballet de l’Opèra de Paris”: prodotto televisivo il primo, ma nonostante questo raffinato, intenso e tutto tranne che dimenticabile; pezzo di cinema-cinema il secondo, ricco e denso, ma meno complesso del solito Wiseman e troppo facilmente addomesticato alla rappresentazione che l’Istituzione (l’Opera di Parigi) tiene a dare di se stessa. Poi c`è il solito entusiasmante Greenaway: ma chi glielo spiega al mondo che le sue esplorazioni ludiche nei capolavori della pittura sono sostanzialmente gesti documentaristici (almeno tanto quanto lo era quello di Clouzot in “Le mystère Picasso”)?
Il cinema di casa nostra. Molti (troppi?) i film nostrani. Tra gli altri “L`amore e basta” di Stefano Consiglio, i comizi d`amore di coppie omosessuali di tutt`Europa già approdato alle sale; “Ragazze – La vita trema” di Paola Sangiovanni, nuovo episodio della narrazione del movimento femminista e del decennio di fuoco 68`-78`; il celebrativo “Armando Testa – Povero ma moderno” del sempre più spensierato Pappi Corsicato e “Poesia che mi guardi”, ritratto-inchiesta di Marina Spada sulla figura di Antonia Pozzi, poetessa sublime e borghese, morta suicida nel 1938: la conferma ulteriore del talento di una delle più sottovalutate autrici cinematografiche italiane.
Moore e Stone restino pure nei loro amati/odiati Stati Uniti, chè se nel loro paese lo schema e la retorica possono forse servire la buona causa d`una necessaria informazione di massa, in Europa “Capitalism: a love story” e “South of the border” suonano come goliardiche e compiaciute prese di posizione da militanti molto a la pà ge. Poi c`è stata la Cina, naturalmente, l`Iran della giovanissima Hana Makhmalbaf, e altri ancora. Preferiamo però un`altra singolare segnalazione. Il più bel film di non-fiction visto a Venezia è tedesco. “Villalobos” sulla carta è l`ennesimo film ritratto: il titolo è il nome del protagonista Ricardo Villalobos, uno dei più quotati dj del mondo. Ma Romuald Karmakar – alla ventiduesima firma da regista nonostante gli appena quarantacinque anni d`età – non punta l`obiettivo sul personaggio pubblico, non s`interessa alla ricostruzione della sua vita, non si propone di comporre un`agiografia da somministrare al pubblico degli estimatori. Si concentra invece solo sul lavoro di Villabos, sulle macchine e le bizzarre apparecchiature che ingombrano il suo studio, sul racconto e sulle riflessioni che il musicista fa della sua diuturna manipolazione di suoni. Poi Karmakar si sposta, per tre volte appena in un film di poco meno di due ore, nel gremito salone delle discoteche dove la star Villalobos si esibisce. Ne vien fuori un raffinatissimo film saggio sull`arte (e l`artigianato) musicale, la società capitalistica, la cultura popolare dell`Occidente contemporaneo.
Le sale nazionali non mancano, fin dall`inizio della stagione, di opzioni alternative al cinema di finzione. Prima del saluto rituale dunque un`ultima segnalazione: è da pochi giorni nelle sale un altro documentario italiano, “Eva e Adamo”, diretto da Vittorio Moroni, lo stesso autore che esordì nel 2004 con “Tu devi essere il lupo” e che nella stagione 2007/2008 sbalordì i professionisti del settore distribuendo da solo (con un discreto successo) il documentario sui generis “Le ferie di Licu”. A voi la scelta. A martedì prossimo.