Che Hollywood fosse l’ultima realizzazione in terra delle famigerate Sodoma e Gomorra di biblica memoria, lo sapevamo da tempo. Già nel lontano 1939 lo scrittore e sceneggiatore Nathanael West ne aveva offerto una ficcante rappresentazione metaforica con il suo romanzo Il giorno della locusta, poi portato sul grande schermo da John Schlesinger nel 1975, mentre con gusto voyeuristico metodico Kenneth Anger alla fine degli anni ’50 con Hollywood Babylonia (e con il relativo seguito Hollywood Babylonia II), pur senza postulare la distruzione della Mecca del cinema, aveva stilato la sua personale e sagace ricognizione di vizi e abiezioni dei divi, vero e proprio motore e ragion d’essere dello Star System hollywoodiano e imprescindibile piacere aggiunto per lo spettatore. Non sono dunque né gli scandali né l’arrivismo più sfrenato a porre fine alla Hollywood contemporanea in Facciamola finita, debutto alla regia per Evan Goldberg e Seth Rogen (già collaudata coppia di sceneggiatori per Suxbad, Strafumati, The Green Hornet e Vicini del terzo tipo) bensì una vera e propria apocalisse divina con tanto di ascese al cielo e inabissamenti nelle viscere delle terra.
La pellicola, il cui “realismo” è “garantito” dal fatto che protagonisti sono gli attori nel ruolo di se stessi, parte in sordina con un lungo prologo alla Cloverfield, per edificare poi la sua metafora meta-cinematografica innestandola di trovate dalla comicità più libera e sboccata. Tutto scaturisce da un party selvaggio a base di alcool, droghe e pop-art contemporanea nella nuova villa di James Franco. Tra gli invitati: i due amiconi di vecchia data Seth Rogen e Jay Baruchel, ma anche Jonah Hill, Rihanna, Emma Watson, Danny McBride, Craig Robinson, Michael Cera e Paul Rudd. Tutti si troveranno faccia a faccia con la fine del mondo, e metteranno sulla piazza i propri vizi, bassezze e fluidi corporei in una gustosa e inarrestabile serie di situazioni compromettenti. Insomma un vero e proprio baccanale per lo spettatore-voyeur, con divi inghiottiti tra le fiamme, demoni che riecheggiano quelli dei fantasy dei favolosi Eighties ed esorcismi improvvisati, in un turbinio di citazioni e ammiccamenti autoreferenziali. Sorta di film-summa della “factory di Judd Apatow” realizzato da e con alcuni dei suoi massimi esponenti, Facciamola finita contiene dunque tutti gli elementi che hanno reso celebre e apprezzata anche dalla critica (i Cahiers du Cinema gli dedicarono la copertina e un ricco approfondimento nell’ottobre 2009) la filmografia del regista e produttore statunitense: dalle battute scatologiche alla crisi esistenziale dei suoi eterni adolescenti, dall’omoerotismo romantico all’insopprimibile nostalgia per gli anni ’80 e ’90, culla dell’immaginario per una generazione che, come ben ci illustrano qui i due registi, costituisce oramai di fatto lo Star System contemporaneo. Degni eredi del brat pack anni ’80, i ragazzacci di Apatow sono però assai più consapevoli, colti e organizzati e come in una sorta di nouvelle vague della commedia americana odierna, sono pronti a scambiarsi talenti mettendosi l’uno al servizio dell’altro, per dare vita sullo schermo a tutte le gag che la loro fantasia può contenere.
Sorta di peep show delirante e citazionista, Facciamola finita è una pellicola teorica quanto esilarante, capace di addensare una serie montante di trovate narrative e registiche di quelle che vengono in mente per libere associazioni di pensiero ad un gruppo di amici riunitisi per qualche ora di sano (o malsano, lisergico che sia) cazzeggio da salotto. Ed è proprio questa sensazione di prossimità costruita in maniera quasi scientifica tramite la costante messa in ridicolo e a nudo dei protagonisti, che riesce a stemperare il nostro voyeurismo costituendo la forza e la vera novità del film. Impossibile dunque non posizionarsi al fianco degli interpreti, così teneri e perfidi, sentimentali e viziosi, per immergerci in questa farsa senza freni né inibizioni che rappresenta in fondo la degna prosecuzione di quel perpetuo lavorio di distruzione e glorificazione che è motore stesso dell’industria cinematografica; e di quel malsano, perverso impulso che spinge ancora, oggi come un secolo fa, ad incarnare il ruolo di spettatori.
DARIA POMPONIO