Dal nostro inviato SILVIO GRASSELLI
“L’autorialità” può essere – e di fatto spesso è – un vizio. Non un vezzo, e nemmeno un difetto secondario, ma proprio un errore grave, una scelta consapevolmente e sciaguratamente sbagliata, un peccato mortale, direbbe qualche vecchio clericale in vena di giudizi universali. Kyzza Terrazas, scrittore e regista d’origine africana, formatosi a New York e già divenuto collaboratore di Gabriel Garcia Bernal regista, è stato scelto dalla commissione di selezione della SIC certamente per due buoni motivi: il tema del suo lungometraggio d’esordio e le sue scelte stilistiche nella realizzazione del film. El linguaje de los machetes in effetti centra un nervo scoperto dell’Occidente contemporaneo e lo fa riuscendo a diventare immediatamente paradigmatico. La coppia di non più giovani protagonisti, due ultratrentenni che non mancano occasione di sottolineare il loro stile di vita scapigliato, cerca di cancellare la propria origine borghese con l’impegno politico e con la rigorosa opposizione ai canoni di un’esistenza asservita all’ordine del capitale.
Davanti all’empasse – più affettiva che politica – uno dei due decide per la soluzione estrema: un attentato suicida condurrà i due verso un senso ulteriore. In realtà sottoposti alla violenta aggressione degli eventi, i due, in modi diversi, scoprono la propria distanza dal mondo, la propria immaturità umana, la fragile menzogna di un’adolescenza protratta all’infinito. Il film diventa così, immediatamente, un Prima della rivoluzione dei giorni nostri. Nonostante la scarsa originalità dell’argomento, El linguaje de los machetes dimostra una propria autentica urgenza grazie soprattutto all’essenzialità del racconto e alla misura della storia. Le scelte stilistiche del giovane Terrazas, al contrario, sembrano arbitrarie, frutto di quel vizio che spinge a costruire una forma prescindendo dalla materia: macchina a mano, decadrages, piani sequenza, scontri verbali come ritornelli. E un finale che nella sospensione forse denuncia un’incapacità simile a quella dei due protagonisti: la capacità di fare i conti con le cose nella loro scomoda e ineludibile concretezza, l’incapacità di andare fino in fondo, di portare a compimento le piccole e grandi rivoluzioni immaginate ogni giorno.