Italian Graffiti – Percorsi italiani nella (s)memoria cinematografica collettiva a cura di Massimiliano Schiavoni
Discendenti della comicità più popolare, quella degli spettacoli di piazza, degli istinti primordiali, di fame e desiderio, di elementari giochi linguistici e mimiche esasperate, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia costituiscono un nucleo espressivo del nostro cinema per varie ragioni non trascurabile. Protagonisti di più di cento film, per loro è pure difficile parlare di cinema “povero”. I due furono infatti posti al centro di filmetti svelti e sbrigativamente confezionati, risparmiando sì molto sui costi, ma fruttando per converso incassi meravigliosi ai produttori. Uno dei pochi veri casi, insieme a Totò, di sfruttamento massivo di un brand comico da parte dell’industria cinematografica italiana, a prescindere da qualsiasi scrupolo di qualità. Nel loro caso, come e più di Totò, lo sfruttamento fu particolarmente selvaggio, al ritmo di quattro o cinque film all’anno, col ricorso costante alla struttura della farsa-parodia. Tra gli strumenti più popolari e di consumo, la parodia si applicò agilmente al duo, puntualmente collocato in ambienti narrativi estranei per generare caos e conflitto comico. Franco e Ciccio parodiarono letteralmente qualsiasi contesto cinematografico possibile, dalle convenzioni del film di genere non italiano alla stessa commedia all’italiana, tanto che in certi casi è pure difficile distinguere tra parodia e semplice ricontestualizzazione “bassa”, a sfruttamento industriale, di intrecci di successo.
Due samurai per 100 geishe di Giorgio Simonelli, recuperato in dvd da Medusa a partire dal 20 giugno, si configura come una facile parodia dei cliché del cinema giapponese, che proprio tra gli anni Cinquanta e Sessanta aveva acquisito grande visibilità e apprezzamento internazionale soprattutto grazie alle opere di Akira Kurosawa e Yasujiro Ozu. Tra i primi prodotti costruiti sul duo, il film di Simonelli appare anche più ingenuo della media, poiché alla resa dei conti sfrutta poco le potenzialità della coppia, e in buona parte per discutibili scelte di regia. Affidandosi spesso a totali, piani medi e piani americani, Simonelli non valorizza affatto il gioco di squadra tra i due, e riduce notevolmente l’impatto destabilizzante della mimica di Franchi, più volte appena intelligibile nell’ampiezza dell’inquadratura. Emergono spesso occasioni comiche “mancate”, sia nell’addestramento alla scuola dei samurai, sia nelle insistite sequenze in compagnia delle geishe. Così come il prevedibile travestimento di Franco e Ciccio sotto vesti femminili giapponesi si risolve assai frettolosamente. Tuttavia, è interessante notare la commistione narrativa a cui Simonelli si affida, che forse è sintomatica di un primo tentativo, dissoltosi poi nelle opere successive, di “vestire di cinema” la coppia Franco e Ciccio. A una narrazione blanda e molto diluita (altro elemento che depotenzia fortemente la vis della coppia) Simonelli alterna infatti pagine musicali e coreografie talvolta buffe, sovente affidate solo alle geishe. Ovvero, il concept è un prodotto puramente industriale, in cui si fanno convivere spunti comici e castissimo erotismo, tanto per compiacere il pubblico in tutte le direzioni possibili. In tal senso, la prima lettura riservata a Franco e Ciccio da autori e produttori appare una loro collocazione in una sorta di “film-varietà”, di cui loro occupano solo una casella, preminente ma non totalizzante, dell’intrattenimento offerto. Col risultato che però si ride davvero poco. Le loro parodie migliori verranno in seguito.