Dreamland

16/06/11 - Il sogno americano dei 50's trasformato in incubo trash da Sebastiano Sandro Ravagnani in un film con l'ex-culturista Franco Columbu.

Ci sono film che superano la soglia della bruttezza per diventare qualcos’altro, trasformandosi nell’esperienza quasi mistica, e di sicuro molto esilarante, di vedere improvvisamente davanti agli occhi tutto ciò che il cinema non dovrebbe essere. Dreamland – La terra dei sogni, è senza dubbio una di queste. Già i titoli di testa ricordano le televendite che affollano gli annoiati palinsesti pomeridiani, come quelle degli elettrostimolatori per perdere peso rimanendo inchiodati alla poltrona o delle pillole miracolose che trasformano gli obesi in supermodelli. Le primissime sequenze ricordano invece le telenovela, ma l’opera prima di Sebastiano Sandro Ravagnani (già autore di programmi tv come Domenica In e di molte trasmissioni sul circo) è molto di più. Supera tutte queste categorie mischiandole insieme e aggiungendoci un tocco da filmino delle vacanze, che per decenza definiremo da “reality”. Ma procediamo con ordine: la storia è ambientata negli anni ’50 in una delle Little Italy che affollano l’assolata California. Qui un giovane “bruciato” – che guarda caso si chiama James, come Dean – passa le sue giornate tra le moto, l’alcool, le scazzottate della sua gang con quella rivale, gli spagnoli, e il reperimento dei fondi per i propri vizi attraverso il racket. Questo finché un giorno non le prende più del solito e viene raccattato malconcio, in mezzo alla strada, da un falegname da lui taglieggiato in precedenza, Frank, che accogliendolo amorevolmente nella sua famiglia gli dà la possibilità di redimersi e di portare finalmente la pace tra bande. Il buon samaritano è però anche un ex-pugile professionista, che avvierà James alla carriera sportiva aiutandolo negli allenamenti e nella costruzione di una palestra per sé e la sua “gang”, ma stavolta di soli bravi ragazzi.

“Siamo a Fullerton, ma potremmo essere a Milwaukee, New York, Boston Chicago e in tante altre città d’America”, recita la sinossi del film. In realtà potremmo benissimo essere sotto casa e in qualsiasi tempo, visto che fatti salvi un paio di esterni, nessuna scenografia, nessuna musica, nessun costume, nessun trucco e nessun parrucco sono credibili. Su molte magliette campeggiano infatti le marche più moderne, mentre la tanto agognata palestra ha il normale aspetto di qualsiasi fitness club. Sarebbe inoltre troppo facile affermare che neppure gli attori sono credibili, per non parlare della dizione. Certo, è vero che gli USA sono stati un grande melting pot, ma gli spagnoli che parlano brianzolo ancora ci mancavano. I dialoghi sono così smunti e superflui che potrebbero apparire ermetici, mentre l’acerbo protagonista Ivano De Cristofaro, essendo in realtà culturista, fa molto più sfoggio di apparato muscolare che di doti recitative. D’altra parte, verso la fine il film si trasforma in un’apoteosi di steroidi a uso e consumo della vera star dell’intera operazione, Franco Columbu, ex-boxer emigrato giovanissimo dalla Sardegna a Monaco di Baviera, dove divenne compagno di allenamenti e amico intimo del futuro governatore della California Arnold Schwarzenegger.

E tanto per non farsi mancare nulla ecco che nel bel mezzo del suo stentato racconto, sempre ambientato nei ’50s, Dreamland porta magicamente sullo schermo anche Schwarzy (stranamente non accreditato…) riproponendo un filmato di parecchi anni fa (’80 o ’90, a giudicare dai pantaloncini hawaiani di Schwarzenegger) in cui lui e Columbu si allenano insieme, contando in tedesco, Franco, e in italiano, Arnold, i sollevamenti fatti dall’amico col bilanciere. Il tutto circondato da altre amenità come le poche sequenze girate davvero in America (con le macchine di oggi, i vestiti di oggi ecc ecc) dove Frank porta James a vedere i culturisti che si allenano sulla spiaggia, come il prete del quartiere che si chiama Don Giovanni o come il personaggio di Columbu che tiene a portata di mano nell’armadio il vestito sporco di sangue della moglie morta in un incidente molto tempo prima (inutile aggiungere che il sangue è ancora rosso purpureo). Concludendo, se non fosse per lo spiacevole inconveniente del costo del biglietto, il film sarebbe da andare a vedere in massa con gli amici per tutta l’ilarità involontaria che è in grado di suscitare. Un’esperienza mistica, appunto, di quelle che neppure i video amatoriali su YouTube potrebbero mai eguagliare. E per chi dovesse disgraziatamente perdersi la chicca, non vi preoccupate: Dreamland – La terra dei sogni è solo l’inizio di una trilogia, di cui dovrebbe essere già in fase di realizzazione il secondo capitolo.

LAURA CROCE

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