Dalla nostra inviata GIOVANNA BARRECA
Un festival di cinema nel cuore più vitale di Venezia. L’impressione avuta all’arrivo all’Auditorium Santa Margherita che ospita il Ca ‘Foscari Short Film Festival è senz’altro positiva. Siamo di fronte al primo festival organizzato e gestito da un ateneo pubblico italiano capace di avere una rilevanza internazionale, una manifestazione, soprattutto, fortemente voluta dai ragazzi che numerosissimi seguono gli eventi con ospiti (valga l’esempio dell’incontro affollatissimo con il fotografo Elliot Erwitt) e visionano con occhi critico i corti del concorso internazionale discutendone in sala e fuori. Già la fase della selezione aveva coinvolto tanti studenti ai quali era stato chiesto di partire con una prima scrematura delle centinaia di lavori inviati, per poi giungere ai 30 corti selezionati per la fase finale. Tra i film in programma il primo giorno si può già notare l’attenzione rivolta a tematiche importanti per i ragazzi, quali l’identità e il rapporto condizionante con l’ambiente. A tal riguardo esemplificativo è De la mutabilità de toute chose et de la possibilità d’en changer certaines di Anna Marziano, ragazza italiana che ha deciso di studiare in Francia e realizzare un’analisi sociologica per immagini. Attraverso un’ottima fotografia dalla quale si può evincere una sensibilità artistica matura, l’autrice affronta un viaggio tra alcuni uomini e donne che si sono trovati, loro malgrado, a dover reagire a un cambiamento: un ragazzo costretto a scappare dall’Afghanistan del regime talebano e poi ‘investito’ dal terremoto in Abruzzo, anziani di paesi sradicati dalle loro case per ritrovarsi in non-luoghi quali i centri commerciali. Per sviluppare il concetto di mutamento, la narrazione è intervallata da brani letterari, da un Buster Keaton alle prese con un tornado e una casa che gira su se stessa perdendo il proprio asse e da ambienti naturali specchio dell’anima dei protagonisti.
I due corti realizzati in Italia al Centro sperimentale, pur essendo storie forti, si reggono su sceneggiature troppo classiche, troppo vicine alla fiction televisiva: Alessandro Tamburini racconta in Amore necessario la vita di una coppia che vive a Solarolo (Ravenna). “Ti ho conosciuto ridendo e finisci ridendo” confessa fuori campo l’uomo alla sua sposa dopo una vita passata insieme e che ora, quando entrambi hanno superato i sessant’anni, è ancora caratterizzata dalla complicità e dal gioco. Quell’estate al mare di Anita Rivaroli e Irene Tommasi – attraverso una storia di bambini – ci ricorda il valore e spesso il peso della libertà.
Più interessante, parlando ancora di un cortometraggio di un nostro connazionale che studia all’estero, è parso Endure di Francesco Chiari che, come l’intenso – forse il migliore visto finora – Silent river di Anca Miruna Lazarescu, ci parla di conflitti bellici. Chiari tratta il tema in termini universali facendoci vivere il calvario di un uomo che si rifugia in casa incapace di lottare e aiutare il prossimo. Lazarescu invece ci porta sul confine rumeno nel 1986: qui Gregor e Vali vogliono attraversare il Danubio in cerca di un futuro migliore. Invece un conflitto familiare è al centro di Falling awake dove, avvalendosi di due ottime interpretazioni, il regista Ryan Demello ci conduce nella storia di una madre e suo figlio che, dopo il suicidio del marito/padre, si trovano a scontrarsi ferocemente fino a quando l’arrivo per posta di un paio di dvd cambia le cose: nel materiale video il sogno di vendetta del figlio nei confronti della donna si compie.
Un’altra accezione dall’India: tre storie di conflitti interiori che spesso hanno dovuto fare i conti anche con la terribile realtà di una guerra: Kwaishqae di Anil Lakhwani ci porta nell’universo di una bellissima ballerina (così ci viene descritta nelle prime scene) che in realtà si scopre essere un ragazzo in cerca di se stesso in un “territorio oscuro”. Torsha Banerjee ci racconta in Beauty la vicenda di una giovane chiamata Bella, con tanta voglia di scoprire e conoscere l’amore vero anche se il suo futuro è già segnato dal lavoro come prostituta della madre. L’altro scontro è quello raccontato da Vrinda Kapoor in To Mohandas Karamchand Gandhi che ci riporta al periodo dell’indipendenza dell’India quando il paese, per evitare ulteriori conflitti, venne diviso. Una Nazione che venne spartita in due parti ed esistenze separate per sempre come quella dell’anziano protagonista che ancor oggi non si dà pace per la perdita della fanciulla un tempo amata.