Sucker Punch Un’occasione mancata dove restano riconoscibili i marchi di fabbrica di un autore
23/03/11 – L’infaticabile Zack Snyder – salito agli onori delle cronache per aver diretto Dawn of the dead (2004) e consolidato nella memoria del pubblico con 300(2006) – seguita nel tentativo di cavalcare la cresta dell’onda. Dopo il flop intercontinentale Il regno di Ga’hoole e prima di tornare all’adattamento di fumetti – primo grande amore che Snyder è pronto a riprendere con il sequel di Superman, già in preproduzione – viene Sucker Punch, lungometraggio ipetrofico, chiassoso, eccessivo in tutto tranne che in qualità narrative. Come nell’incubo di un teen ager del nuovo millennio, un manipolo di ragazzine agili e discinte combatte duelli cruenti per riguadagnarsi la libertà, attraversando “quadri” da videogame, teatri di guerra, palcoscenici infestati di mostri, reali e immaginari; rovine digitali che mimano goffamente, attraverso metafore di grana grossa, quelle analogiche del mondo reale. Al fumetto si sovrappone il videogioco, alla cover musicale segue quella cinematografica, al musical s’intreccia il burlesque in un bibitone iperproteico che pretende di conciliare botte, fantasmagorie digitali e filosofia, diluendole in un racconto post-epico.
Invece, dopo un incipit che satura occhi, orecchie e cervello il giocattolo svela presto i suoi esili meccanismi lasciando intravedere già l’epilogo, scomposto e incolore. E così riesce difficile trarre divertimento dalla sequela di avventure/visioni della protagonista Baby Doll – nomen omen – dalle sparatorie, dalle capriole, dalle danze. Snyder torna a praticare l’ossessione per il dettaglio anatomico, la vicinanza sfacciata e indagatrice ai volti dei suoi protagonisti – con una dedizione tutta speciale per le interpreti femminili, comeCarla Gugino, che già in Watchmen mostrava crudamente la sua cellulite e che qui torna come psichiatra/maitresse conturbante – il pedinamento epidermico che rivela pori e imperfezioni delle pelle, gli strati di trucco, i muscoli o le carnose flaccidità di uomini e di donne. Ma stavolta questi “lampi di cinema” non si raccolgono mai in costellazioni, non sono altro che mostra inerte e stucchevole, sfoggio d’inutile perizia. Peccato, perché dentro questo turgido ammasso spettacolare restano riconoscibili molti dei marchi di fabbrica di un autore, qual è Snyder, capace di scolpire immagini e immaginari e di farne diorami pensanti.
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