Quando Bernardo Bertolucci sulla sua “sedia elettrica” ha denunciato qualche settimana fa il problema della mobilità per i disabili a Roma, o quando in un monologo televisivo Roberto Saviano parlava di un diversamente abile dallo straordinario talento come Michel Petrucciani, non sapevano che un giovane autore di nome Antonio Morabito aveva raccontato nel documentario Che cos’è un Manrico – presentato in anteprima alla trentesima edizione del Sulmona cinema dove ha vinto l’Ovidio d’argento per la miglior regia – una settimana qualsiasi d’estate di un ragazzo distrofico di trent’anni, Manrico, che con i sanpietrini romani, la mancanza di rampe, fa i conti ogni volta che può uscire di casa con gli operatori che lo aiutano a districarsi nel traffico tra marciapiedi mai a norma. Un Manrico che con il termine ‘diversamente abile’ o con l’idea dell’ “abilità altra” – come la definisce lo scrittore napoletano, ha qualche problema a far i conti soprattutto quando Stefano, l’operatore della cooperativa, gli vuol far capire che le sue sono abilità diverse nel compiere gesti comuni di un normodotato. Morabito segue e ripercorre soprattutto i rapporti umani che Manrico ha durante sette giorni, il suo modo di confrontarsi e di far evolvere il rapporto di amicizia con l’operatore Stefano: due masse critiche che vogliono comunque entrare in contatto. E ancora, come sia difficile nella sua condizione di giovane ragazzo malato conoscere e vivere l’amore nei confronti dell’altro sesso (in alcune sue dichiarazioni abbiamo ritrovato quello che esprime il protagonista del film di finzione The session di Ben Lewin , costretto a vivere in un polmone d’acciaio; pellicola in uscita a febbraio per la Fox e vista in anteprima al Torino film festival). E poi il rapporto di dipendenza, d’amore e di repulsione – in alcuni istanti – verso la nonna che lo ha cresciuto e si è presa cura di lui. Documentare un’intimità di persone che si sono donate totalmente all’obiettivo senza cadere o offendere la sensibilità dei protagonisti e degli spettatori era l’impresa più difficile ma Morabito riesce a fare quel passo indietro necessario, a trovare la giusta oggettività per focalizzare l’attenzione su un rapporto umano più che su una condizione fisica e motoria difficile. Visitiamo la vita di Manrico, ne percepiamo le difficoltà e la forza d’animo necessaria per affrontare ogni respiro e ogni movimento quotidiano ma senza invaderne l’intimità. Arrivano le emozioni con la loro purezza emotiva e crediamo che sia stato questo l’aspetto che maggiormente ha colpito la giuria di Sulmona cinema giudata da Luigi Lo Cascio, Renato De Maria e composta da studenti di cinema di diverse scuole e atenei universitari italiani.