Cella 211, romanzo ad alta tensione
04/08/10 – Sembra inevitabile: quando si legge un bel libro e poi si vede il film che immancabilmente ne è tratto, la delusione è totale. Ognuno di noi, infatti, completa un romanzo con la propria fantasia e il proprio vissuto, mentre ciò che poi si trova sullo schermo è frutto della rielaborazione di altre persone e di rado si accosta a ciò che era piaciuto a noi. I casi di trasposizioni mal riuscite sono infiniti, ma ce n’è invece almeno uno al contrario, una storia che dal balzo sul grande schermo ha guadagnato piuttosto che perso. Stiamo parlando di Cella 211, romanzo di Francisco Pérez Gandul che ha trovato degna celebrazione nel film di Daniel Monzón presentato alla Mostra del Cinema di Venezia l’anno scorso, poi distribuito in Italia dalla Bolero Film e diventato già un piccolo cult. Potentissima la storia: Juan è un agente di polizia penitenziaria che sta per entrare in servizio e decide il giorno precedente di andare a fare un giro in carcere per conoscere i suoi colleghi ed essere pronto. Da questa scelta dipenderà il destino di molte persone, perché proprio mentre il giovane sta facendo il suo giro in compagnia di due colleghi scoppia una rivolta e la prigione è messa a ferro e fuoco. Juan ha un malore e viene disteso sul letto di una cella vuota, la 211 del titolo, e qui viene lasciato. I detenuti lo scambiano per uno di loro e così Juan si trova costretto a mentire per salvarsi la pelle. Poche pagine per introdurre il contesto e poi via con un’azione continua mentre la tensione non fa che crescere e i colpi di scena di susseguono sempre più convulsi fino al sorprendente finale.
Il film di Monzón è un perfetto esempio di come dare forza a una storia asciugandola e mettendo in risalto i punti di forza. Ad esempio la prima differenza è che il libro inizia con Juan che ha un mancamento per lo spavento dei forti rumori che segnano l’inizio della rivolta e qui il romanzo si concede una prima digressione narrando in prima persona di quanto poco saldi siano i nervi del protagonista. Nel film, invece, è un pezzo d’intonaco che si stacca dal soffitto a causare lo svenimento dell’uomo, evitando la digressione e dando più forza al personaggio. Innumerevoli sono le piccole differenze: nel libro Juan per passare per un detenuto nella cella si spoglia di tutto ciò che ha addosso e anche della cinta e delle scarpe, così come nel film, ma molti di più sono gli accorgimenti che è costretto a fare per continuare l’inganno. Soprattutto ciò che sembra funzionare peggio è il continuo cambio di narratore del libro, tanto che poco riusciti sembrano i flussi di pensiero del protagonista che, invece di accrescerla, distolgono l’attenzione dalle sue emozioni, perdendosi in digressioni e lungaggini inutili. Più efficaci, invece, sono le reazioni del protagonista del film, un interessante Alberto Ammann, capace di restituire tutta la forza e la semplicità di Juan Oliver. Insomma, il romanzo ha troppa voglia di spiegare tutto nei minimi dettagli, rallentando inevitabilmente il flusso della storia e addirittura a volte ‘telefonando’ i colpi di scena.
Ciò nonostante il romanzo Cella 211 è da leggere sia per chi ha visto il film sia per chi non l’ha ancora fatto, divertendosi a trovare differenze e analogie, un utile esercizio per tutti coloro che amano le belle storie e sono interessati a capire i meccanismi che le regolano la letteratura e il cinema, due mondi spesso in contatto, ma incredibilmente diversi.
SCHEDA LIBRO
Titolo: Cella 211
Autore: Pérez Gandul Francisco
Prezzo di copertina: € 17
2010, 240 p.
Traduttore: Cremonesi F.
Editore: Marsilio (collana Farfalle)