Dalla nostra inviata LAURA CROCE
Luglio 2001, in un mondo molto diverso da quello che conosciamo oggi, i leader delle maggiori potenze economiche mondiali si riuniscono a Genova per il G8. La memoria degli scontri avvenuti in situazioni analoghe in altre città mondiali è ancora accesa e il clima teso. Si preannuncia una situazione difficile che purtroppo si farà drammatica: oltre all’uccisione di un ragazzo durante i cortei, la notte del 21 luglio un nutrito manipolo di poliziotti fa irruzione nella scuola Diaz, dove pernottano alcuni manifestanti, aggredendo e picchiando a sangue indifferentemente tutti gli occupanti del posto con la scusa che, secondo le loro informazioni, si tratterebbe dei black block responsabili degli atti vandalici commessi in giro per la città. Da questo terribile episodio di storia recente prende avvio il documentario di Carlo Bachschmidt che, 10 anni dopo l’accaduto, intervista alcune delle vittime dei pestaggi per ricordare cosa avvenne quella notte, in attesa del giudizio definitivo della Cassazione sulle condanne già subite da molti dei poliziotti artefici di quei soprusi.
È chiaramente un documentario militante, quello portato da Fandango alla 68/a Mostra del cinema di Venezia nella sezione Controcampo Italiano. Alternando le testimonianze dei protagonisti con alcuni video amatoriali e di repertorio girati sia durante le manifestazioni che alla Diaz, Black Block affronta di petto la questione delle responsabilità di quello che viene descritto senza mezzi termini un pestaggio al di fuori di ogni principio degno di uno Stato di Diritto. I racconti dei ragazzi della Diaz, oggi giovani adulti con una visione lucida della portata dell’evento vissuto, si soffermano per circa un’ora sugli atti di sangue e terrore, un J’accuse a volto scoperto contro quel che viene definita pura repressione politica. Poi c’è anche il lato personale e umano, il tentativo di Bachschmidt di spiegare quanto sia difficile elaborare e superare un evento traumatico del genere che, a distanza di tanto tempo, toglie ancora il respiro a chi ne parla. Anche il titolo appare come un provocazione: l’assunto è ovviamente che nessuno dei ragazzi intervistati, tutti stranieri di diversi Paesi europei, fosse un membro dei black block ma un semplice manifestante picchiato per ragioni politiche più che di effettivo ordine pubblico.
L’unico limite di aver sposato in tutto e per tutto un simile punto di vista consiste, tuttavia, nella difficoltà di andare al di là di ciò che già si conosce e si sostiene riguardo al G8 e alla Diaz. D’altra parte non sembra di essere al cospetto di un documentario di ricerca quanto di un film in un certo senso commemorativo, adatto ad anti-celebrare la ricorrenza dei 10 anni di un evento ancora non perfettamente rielaborato, non solo dai suoi protagonisti ma anche dall’immaginario collettivo.