L’incontro tra Marco Bellocchio e Sergio Castellitto incentrato sui loro ruoli come presidenti di istituzioni centrali per la cultura cinematografica italiana (Bellocchio alla Cineteca di Bologna e Castellitto al Centro sperimentale di cinematografia di Roma (CSC), moderato dal direttore del Festival del Cinema Ritrovato Gianluca Farinelli, inizia con il racconto dei loro incontri cinematografici, visto che Sergio Castellitto è stato attore in due film diretti dal regista di Bobbio: “In realtà ho fatto due film e mezzo con Marco”, precisa Castellitto ricordando il doppiaggio di Lou Castel per Gli occhi, la bocca. “Castel si era appostato sotto la produzione e mi fermò dicendomi che dovevo assolutamente rifiutarmi di doppiarlo. Non posso essere doppiato, disse”, quasi una minaccia artistica. Bellocchio spiega la scelta: “In realtà Lou ha una bella voce ma dei ritmi … come se il film fosse al rallentatore”. E infatti Castellitto chiosa ricordando che nel lavoro di doppiaggio avevano “farcito” per dare maggior ritmo e velocità”.
Il loro primo incontro è legato a L’ora di religione del 2002 perché Bellocchio scelse Castellitto come protagonista. “Quando lessi il copione mi colpì perché non capii nulla e questo mi affascinò in maniera unica. Capii che era un film in stato di grazia” ricorda Castellitto che poi riceve da Bellocchio uno straordinario complimento: “Quando si scrive una sceneggiatura ci sono dei dettagli che sembrano insignificanti per la storia ma cinematograficamente contano più di dieci pagine, hanno un peso incredibile. Quando abbiamo girato la scena dove il pazzo, fratello di Ernesto (Castellitto), bestemmia io ero molto titubante ma poi, rassicurato anche dalla troupe, la girai. Ciò che dette alla scena una grande potenza emotiva fu la doppia bestemmia del fratello ma anche il movimento del personaggio di Sergio. Capì che nella disperazione poteva fare una cosa sola: abbracciarlo, sottraendo al momento la brutale disperazione di una bestemmia, con un gesto d’affetto istintivo. Non potevi fare null’altro con un personaggio così. Ed è stato un passaggio decisivo della scena”. Un abbraccio, uno slancio che Bellocchio ricorda essere mancato invece in Max può aspettare quando il fratello pronunciò proprio la frase che da il titolo all’opera.
Passaggio spassoso nella conversazione quando l’attore/regista romano ricorda i tre rottweiler sul set de Il regista di matrimonio: “L’addestratore mi aveva dato dei croccantini per proteggermi. Io pensavo che i cani mi avrebbero divorato la mano e, terrorizzato, mi sono sdraiato a terra. E Bellocchio rideva”. Mentre la sala applaude divertita Bellocchio commenta: “Scena molto riuscita perché si vedeva il terrore comico. Un terrore che non diventa automatico”.
Anche se poco noto Bellocchio ha prima di tutto una formazione come attore perché frequentò l’Accademia dei Filodrammatici di Milano e poi il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, prima il corso da attore, rincorrendo il mito di Marlon Brando de Il fronte del porto e, poi – su suggerimento di Orazio Costa e di Andrea Camilleri – passò alla regia, diplomatosi con 26/30 al secondo posto (primo Silvano Agosti). Castellitto, per il suo passaggio dietro la macchina da presa, tutto è dipeso dai libri della moglie Margaret Mazzantini: “dalla narrazione delle immagini dalle quali sono stato sedotto perché facevano parte di un racconto” e parlando del ruolo dell’attore ricorda come sia difficile consegnare dignità: “L’attore è un cavallo che corre a disposizione della poetica dell’autore e/o del regista. Quindi io dico che non faccio l’attore ma il protagonista: sono gli occhi dell’autore, non solo in termini di narrazione ma di fiducia e di tensione nei confronti del regista”.
Sulle due istituzioni che dirigono lo scambio più significativo riguarda la volontà di entrambi di proteggerle ma, mentre Bellocchio ricorda quanto la Cineteca di Bologna sia un motore già ben avviato da tempo (“Io non faccio nulla!”), Castellitto deve gestire un ente anche a livello manageriale e forse, chissà, riformarlo: “Mi affascina il pensiero che quei corridoi siano stati attraversati da personalità come quella di Roberto Rossellini. Si tratta di un’esperienza complessa e non nasco e morirò manager (ruolo complesso da reggere); è difficile tenere insieme la dimensione culturale della Cineteca che dovrebbe conservare e una vocazione diversa che è quella verso il futuro, della formazione degli studenti perché i 230 studenti sono il futuro, in un momento molto complesso del nostro cinema”. Auspicando un maggiore scambio/confronto dialettico tra Cineteca di Bologna e CSC consapevole che – rivolgendosi a Bellocchio e Farinelli: “dovremmo imparare da voi a raccontare meglio, a mostrar di più ciò che facciamo”. E chiude: “Ho voluto la tre giorni sulla diaspora degli artisti in guerra al CSC per stare nella carne del dolore del mondo che oggi sta soprattutto a Gaza e in Ucraina”.
giovanna barreca