Indagine sull’odierno cinema indipendentea cura di Giovanna Barreca
A cavallo tra la fine di aprile e l’inizio di maggio è d’obbligo segnalare uno dei festival più ricchi di talenti e di opere: l’Indielisboa, Festival Internazionale del Cinema Indipendente dove, attraverso focus (quest’anno due, uno sul cinema austriaco proposto dalla Viennale e uno sul cinema indie svizzero) e la migliore produzione dell’ultimo anno – nel concorso e nelle sezioni Indiejunior, Pulsar do Mundo, Cinema emergente, Observatorio – si può davvero studiare il passato e capire le nuove tendenze di un cinema sempre più attivo soprattutto a livello autoriale. Altra annotazione, spostandoci invece in Italia e nella zona del nord-est, la dedichiamo a un riconoscimento istituzionale assegnato, all’interno del Festival della Città impresa a Viviana Carlet, giovanissima direttrice del Lago Film Festival per – recita la motivazione -: “il contributo portato, attraverso la sua attività creativa, allo sviluppo economico, sociale e culturale del Nordest e dell’intero Paese”. Noi lo seguiamo da anni e possiamo aggiungere che il festival – quest’anno in programmazione dal 20 al 28 luglio – è una vetrina interessante sul nuovo cinema indipendente grazie alle decine di cortometraggi europei in programmazione – frutto di ricerca da parte dello staff – e grazie a tutti quelli che dall’Europa vengono spediti da giovani filmaker desiderosi di partecipare al concorso.
Sempre dal Nord segnaliamo il Trento Film Festival giunto alla sessantesima edizione, dove – tra i vari titoli importanti selezionati – è stato presentato ieri (seguendo l’anteprima italiana al Trieste film festival) un piccolo gioiello dell’indie americano, o meglio una co-produzione statunitense e tedesca: The Loneliest Planet di Julia Loktev con l’intenso Gael Garcia Bernal, qui in stato di grazia nell’interpretare il percorso di Alex, un giovane che prima di sposarsi con Nica (Hani Furstemberg), decide di passare con lei un’estate immerso nella natura sulle montagne del Caucaso, in Georgia. All’inizio ogni cosa è gioco e scoperta, il senso d’avventura li rapisce, la voglia di conoscere le usanze di un luogo così diverso e distante per tradizioni e cultura li unisce ancora di più, ma dopo la paura per un incontro inaspettato, un gesto d’istinto (sbagliato), inizia un cambiamento e comincia un viaggio introspettivo nella mente dei due ragazzi che, senza bisogno di un grido o di una discussione, senza sfiorarsi per giorni, vedono cambiare la loro percezione del mondo, dell’altro e del rapporto d’amore che li unisce. Il vulcano in eruzione negli animi di Alex, Nica e della guida Dato è raccontato così chiaramente dal paesaggio tanto che la regista Julia Loktev è riuscita a modulare le sensazioni in base ad esso. Anche se i protagonisti apparentemente si limitano a camminare, è percepibile il sommovimento degli animi, tramite alcuni primi piani e la macchina da presa che pedina i ragazzi con il suo andamento scostante. Valga come esempio anche la soggettiva di Alex che vorrebbe sfiorare la nuca della ragazza intenta a toccare – e come a voler sistemare – alcuni oggetti in una casa abbandonata; lo spettatore viene trascinato, fino all’identificazione totale, in quel tentativo di riconciliazione, interrotto però dallo spostamento del corpo della ragazza giusto un istante prima che Alex riesca a toccarla. L’urlo inespresso, il pianto, tutto arriva dalle valli, dall’acqua dal gettito furioso, da una natura che si fonde con i personaggi.
The loneliest planet è un piccolo film di una regista russa, da anni in Usa, che è riuscita a ritagliarsi uno spazio in quella parte di mercato americano che ancora non ha divorato il circuito indipendente. E lo ha fatto intelligentemente ‘sfruttando’ uno degli attori più apprezzati – Bernal – per portarlo in un campo d’azione che gli è ancora congeniale.