Belli e indipendenti – Indagine sull’odierno cinema indipendente a cura di Giovanna Barreca
Al termine della visione di Mare chiuso di Stefano Liberti e Andrea Segre le emozioni, i pensieri, le riflessioni saranno diverse ma sarà difficile non interpretare questo documentario come una ferrea e giusta condanna verso un Paese intero: l’Italia ha violato le leggi internazionali e, insieme, quelle della nostra Costituzione, che all’articolo 10 recita: “Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio della libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana ha diritto all’asilo”. Abbiamo lasciato che il Parlamento italiano (l’87% votò a favore) ratificasse l’accordo d’amicizia Italia-Libia che stabiliva il respingimento forzato di tutti i migranti intercettati in mare senza che potesse essere data la possibilità ai militari italiani di identificarli e quindi stabilire se si trattasse di richiedenti asilo. Da maggio 2009 tale decisione ha causato la morte di oltre 1500 persone e inflitto mesi di prigionia, torture, violenze su migliaia di donne e di uomini nelle carceri libiche perché – a differenza di quando ci fu raccontato (nel documentario di Liberti e Segre tornano le immagini di Berlusconi in visita a Tripoli) – i migranti intercettati e consegnati ai libici, non trovavano nel Paese nessuno pronto ad ascoltare le loro richieste e valutare caso per caso ma solo segregazione e morte. Ancora prima di ascoltare – alla fine di Mare chiuso – la sentenza della corte di Giustizia che il 23 febbraio 2012 ha condannato l’Italia al risarcimento delle vittime dei respingimenti, tale messaggio arriva chiaro. Segre e Liberti lo veicolano grazie alle testimonianze raccolte nel campo di Crotone, nel campo profughi Onu di Shousha in Tunisia dove, dopo la caduta del regime libico, sono riusciti ad arrivare molti dei profughi. A queste sequenze, vengono montate in parallelo le immagini delle udienze alla Corte di giustizia internazionale. Inoltre il documentario si avvale anche della registrazione fatta con un telefonino da due giornalisti francesi su una delle tante carrette respinte via mare.
Un’inquadratura in cui viene mostrato un paesaggio potente, a metà tra il miraggio e l’allucinazione di un campo di grano in piena estate; quindi la visione più rassicurante di un bosco con il canto delle cicale e, infine, un uomo che abbandona il campo spinato per raggiungere il mare. I due registi iniziano così il racconto del primo testimone riuscito, solo dopo due anni dal primo viaggio, a raggiungere il campo di Crotone dove, in attesa della sentenza della corte europea afferma: “Tre giorni in mare sono davvero difficili…Vorrei che tutto ciò che abbiamo subito per colpa degli italiani fosse conosciuto dal popolo europeo”. Alle sue parole fanno da contraltare – attraverso un montaggio alternato – quelle alla corte internazionale di Strasburgo dove gli avvocati di tutte le parti espongono i fatti che hanno portato Hirsi e altri 11 somali e 12 eritrei a chiedere giustizia e a veder riconosciuto il loro status di rifugiati politici e quindi essere risarciti per quel respingimento. E da questo momento, non ci sarà nulla di più potente degli occhi di questo ragazzo e di tutti gli altri profughi nel campo Onu sul confine tra Libia e Tunisia per raccontare e tenere insieme il filo di queste storie di speranze tradite, di inguistizia. “Volevo venire in Italia per dare un futuro a mia figlia” afferma una donna nella tenda mentre canta una litania. Al suo volto, alla fine del documentario, si contrapporrà quello di Tsigi, riuscita ad arrivare nel nostro Paese con la figlioletta in grembo, cresciuta da sola per due anni, perchè il marito, prima respinto, poi incarcerato, solo dopo una lunga traversia burocratica ha ottenuto il ricongiungimento familiare e le ha potute riabbracciare. La corte ha stabilito 15000 euro di indennizzo per chi venne respinto ma nessun risarcimento economico potrà essere mai abbastanza giusto e commisurabile al dramma, alle torture e alla perdita di due anni di vita per chi è riuscito a sopravvivere. La volontà è che arrivi chiara la condanna per tutto il parlamento italiano – democraticamente eletto – che ratificò l’accordo e che l’11 aprile assisterà alla proiezione di Mare chiuso.
Stilisticamente il film si avvale di un’ottima fotografia e si ha l’impressione che Segre, più che in passato (Come un uomo sulla terra, Sangue verde), permetta ai suoi paesaggi di avere un’anima profonda capaci di completare la narrazione delle storie in modo del tutto spontaneo. Mare chiuso è un documentario che verrà ‘completato’ da tutti gli spettatori che riusciranno a vederlo, verrà arricchito dagli spettatori che avranno in compito di riflettere seriamente su ciò che è stato. Il film è stato proiettato il 15 marzo al cinema Farnese di Roma e da lì ha iniziato un tour che ieri sera lo ha portato anche al Festival Cinema Africano, Asia e America Latina (in concorso). Sul sito di ZaLab , casa di produzione e di distribuzione del film, potrete trovare tutte le tappe: http://marechiuso.blogspot.it/2012/03/calendario-proiezioni.html.