Belli e indipendenti – Indagine sull’odierno cinema indipendente a cura di Giovanna Barreca
Dopo la vittoria a Locarno del Pardo d’oro cineasti del presente e le diverse critiche lusinghiere Alessandro Comodin ha portato al Festival dei popoli il suo L’estate di Giacomo, che non ha ancora trovato una distribuzione né in Italia né in Francia. Allergico alle etichette, visto che da sempre vive e lavora tra Italia, Francia e Belgio, il giovane autore – classe 1982 – realizza un’opera dal respiro lirico e potente in concorso nella sezione lungometraggi della kermesse fiorentina. Dalla voce dell’autore che torna a Firenze dove nel 2009 esordì con Jagdfieber, il suo cortometraggio sulla caccia, scopriamo l’urgenza di raccontare questa storia sul riconoscimento della memoria. Un film intenso, un tuffo nei colori e nelle luci dell’estate, oltre che negli impulsi puri e spontanei di Giacomo, un adolescente sordo che aveva deciso di sottoporsi a una delicata operazione per riacquistare l’udito proprio a diciott’anni. Una storia che andava svelata in quel momento delicato di passaggio, che non poteva aspettare l’intervento di produttori o di enti pronti ad accettare e avallare proposte di finanziamento. Comodin ci racconta che il progetto sulla carta era piaciuto a tanti ma quando fu il momento di iniziare le riprese lo fece senza alcuna certezza economica, in totale indipendenza, con una piccola troupe composta da quattro persone – tra operatori e fonici – e senza aver ancora scritto una sceneggiatura.
Iniziò a seguire Giacomo nel 2009 e quei mesi di esplorazione – poi non utilizzati – servirono a entrambi per entrare in sintonia, per fare in modo che tra loro e la macchina da presa si creasse un rapporto di totale familiarità. Giacomo nel 2010 è a suo agio, sembra non sentire mai la presenza dello strumento e questo traspare e rende la storia coinvolgente. Nel bene e nel male, la mancanza di fondi ha permesso a Comodin di prendersi il tempo e poter anche cambiare forma, operazione che una produzione cinematografica non gli avrebbe mai concesso. Importante il lavoro sia nella fase delle riprese che poi in quella di montaggio dove il film è stato scritto, sacrificando la prima parte del girato per concentrarsi su Giacomo e la sua relazione con Stefania e nell’ultima parte con la fidanzata Barbara. Un documentario che gioca totalmente sull’improvvisazione dei ragazzi in luoghi e spazi dell’infanzia del regista (il fiume Tagliamento, il luna park del paese) che ha costruito tutto il film come una sorta di percorso di avvicinamento al personaggio principale. A Giacomo si avvicina gradualmente la macchina da presa (tra le scene più belle, il ballo nella balera con la telecamera che danza con i ragazzi regalando un senso di comunione speciale) e lo spettatore che ne indaga la psiche, le paure, i bisogni, le gioie. La leggerezza di una stagione della vita, un trascendere gli elementi con un intervento sul reale che diventa altro. Il tutto legato da una sorta di filo conduttore dove le parole non stanno nel linguaggio parlato.